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Il visionario thriller fantascientifico di Amon Tobin

Amon Tobin, pioniere brasiliano della sperimentazione elettronica, ci ha abituato, nel corso della sua carriera, alla propria difficile classificabilità, con un songwriting che mescola elementi di sintesi a campionamenti di suoni naturali e di strumenti analogici, spesso derivanti dal jazz o dalla world music, ma sempre filtrati e mixati dalla sua mente visionaria.

Con questo Fear In A Handful Of Dust, primo full lenght dopo 8 anni dall’uscita del predecessore ISAM e prima pubblicazione firmata dalla label di Tobin, Nomark, si spinge ancora oltre, virando in maniera sempre più decisa verso la destrutturazione. Le composizioni si evolvono fluide, la parte percussiva è spesso assente e in ogni caso mai groovy, ma l’intreccio di suoni è ricco, dominato da sintetizzatori, glitch, tastiere, campionamenti e da continue incursioni di strumenti dal richiamo etnico.

Il mood è teso, la paura è il filo conduttore. Il risultato è una sorta di lungo inseguimento caratterizzato da momenti di ansia variabile, che spingono l’immaginario in differenti ambientazioni, catapultandolo in un visionario thriller fantascientifico, le cui scene si svolgono in luoghi misteriosi ed esotici di un Pianeta che ricorda il nostro ma che probabilmente non lo è.

Gli intensi arpeggi della opener On A Hilltop Sat To The Moon sono immediatamente assorbiti da pad cupissimi, per poi trasformarsi, con Vipers Follow You, in arabeschi talmente inquieti e incalzanti da far venire l’affanno. Nella parte centrale del disco il tempo si dilata e la composizione si fa più rarefatta ma non cala la tensione. L’impressione è di non trovarsi mai a proprio agio e di essere costantemente seguiti e osservati da una civiltà aliena o robotica di cui sappiamo poco.

In Fooling Alright fa capolino, nel bel mezzo di un walzer dissonante e straniante, la voce di Amon Tobin, filtrata ed effettata tanto da non essere percepita né come amica né come nemica, mentre si rivolge a noi con frasi incomprensibili. L’ansia esplode nuovamente e per l’ultima volta nella tachicardica Three Different Hat Sizes, per poi sfumare nell’ultima traccia Dark As Dogs, in cui le tastiere e i synth lasciano addosso un senso di inerme sospensione.

Un disco coraggioso ed affascinante questo di Amon Tobin, anche più di quanto ci si aspettasse, ma che non mancherà di intrigare, specie col passare degli ascolti, i più aperti alla ricerca musicale.




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