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Andrea Belfi da Milano a Berlino passando per l’Africa

A due anni di distanza dal precedente Ore e forte dell’esperienza da opener del tour europeo di Thom Yorke, torna sugli scudi Andrea Belfi, già batterista di band come Rosolina Mar, Hobocombo e Nonkeen, formazione capitanata da Nils Frahm, ma ormai da anni compositore e produttore di base a Berlino. E lo fa con un Ep di 6 tracce per circa 24 minuti complessivi, intitolato Strata e pubblicato il 5 luglio da Float.

La ricetta con cui Belfi costruisce e distrugge i suoi strati è ancora una volta fatta di percussioni incalzanti e ipnotiche e sintesi modulare. L’evoluzione, rispetto al lavoro precedente, sta in un affinamento della definizione, sia sonora che compositiva, che lo porta, rispetto al passato, ad essere maggiormente conciso e ad andare più facilmente dritto al punto.

Altro elemento di svolta è il fatto che, mentre in Ore si respirava maggiormente un clima di improvvisazione jazz, Strata prende vita dagli studi e dagli esperimenti di Belfi sulle ritmiche Gnawa, che caratterizzano antichi canti religiosi praticati nel Nord Africa dall’omonimo popolo, discendente degli schiavi neri subsahariani.

E in effetti, dal primo all’ultimo secondo, l’opera è profondamente intrisa di tribalismo e spiritualità. Sia le ritmiche che i suoni di sintesi, malgrado mai votati alla ricerca della melodia, né degli accenti regolari, costruiscono armonie che riescono ad ammaliare, a trasportare e, a tratti, a lasciarsi addirittura ballare, anche perché quasi sempre guidate da elementi ciclici.

Riverberi e basse frequenze dominano la scena ancor più che nel passato, unitamente a un senso costante di tensione che non permette mai di abbassare la guardia.

Le dinamiche e la spazialità cercano di riprodurre fedelmente la naturalezza dell’esecuzione live, vero elemento portante dell’arte belfiana.

Dopo l’intro ricco di pathos Shale, la title track ci trasporta subito nell’incedere selvaggio del disco e ritorna come un mantra nella traccia finale Plateau, che ne è una sorta di remix. E proprio quest’ultimo brano si distacca, almeno in parte, da quanto mostrato finora dal nostro ed apre le porte a nuovi scenari, in cui l’elettronica e la post-produzione prendono il sopravvento.

Un lavoro organico e diretto questo di Andrea Belfi, che asciuga le lunghe improvvisazioni jazz degli esordi solisti e caratterizza fortemente la sua composizione come reinterpretazione in chiave personale e con sonorità contemporanee dei rituali Gnawa. Un’opera al contempo affascinante ma anche fruibile ad orecchie non necessariamente abituate alla sperimentazione più radicale.




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