Heliopause di Anne Müller non è soltanto un disco d’esordio, ma la radiografia emotiva di un artista talentuoso e dei suoi processi creativi
Quando si parla di uscite discografiche, non bisogna mai abbassare la guardia, e persino sul fondo di Novembre è ancora troppo presto per stilare classifiche sull’anno trascorso. L’uscita di Heliopause, primo disco da solista della violoncellista tedesca Anne Müller, arriva in un momento pressoché perfetto, per varie ragioni. Intanto viene rilasciato su etichetta Erased Tapes, una di quelle label che non ha bisogno di presentazioni; dai Penguin Café a Peter Broderick, da Nils Frahm a Masayoshi Fujita, da Ólafur Arnalds a David Allred, pare lecito affermare che l’etichetta londinese sia stata incapace di sbagliare un colpo, almeno negli ultimi cinque anni.
Il 2019, poi, è stato particolarmente ricco e fortunato per la musica neoclassica e d’avanguardia, con tantissime nuove proposte, buone idee ad ogni angolo e un interesse di pubblico in forte crescita. Infine, Anne Müller si presenta al suo debutto da solista con un biglietto da visita di tutto rispetto. Oltre ad essere una musicista sopraffina, dotata di ottime capacità compositive, la Müller vanta anche una lista di featuring eccellenti nel suo curriculum (tra gli altri, Frahm, Arnalds, Melnyk e Agnes Obel) che alza di parecchio le asticelle della curiosità e dell’aspettativa. In altre parole, Heliopause ha tutte le carte in regola per essere uno dei dischi più interessanti di quest’anno ormai agli sgoccioli.
Nei 34 minuti complessivi di Heliopause sono contenute 6 tracce ben strutturate, ciascuna dotata di un’anima propria e distinguibile. Being Anne apre il disco, e come suggerisce il titolo sembra di guardare la pagina di un diario. Spiccano le fiammate di violoncello su un fondale altrimenti scuro, come il balenare delle luci in un paesaggio notturno. Il brano si risveglia un po’ alla volta, trascinato dai colpi dell’archetto della Müller, finché non diventa materia vibrante; per quanto il comparto sonoro sia piuttosto gloomy e inclinato verso la negatività, un ribalto di prospettiva potrebbe invece suggerirci una metafora sul processo creativo dell’artista, che dai recessi oscuri della mente è in grado di estrarre lampi di essenza musicale.
Solo? Repeat! non si distingue soltanto per l’eccesso di punteggiatura nel nome; il brano, con le sue ossessive ripetizioni e il suo violoncello martellante, sembra rimandare alle fatiche della pratica, alle innumerevoli ore spese per perfezionare stile e tecnica fino al punto in cui le mani eseguono ciò che la mente crea. Nummer 2 è un esercizio di bellezza: la Müller lascia scorrere un loop melodico sul quale poter navigare in solitaria, creando virtuosi volteggi che mirano direttamente alla parte emotiva dell’ascoltatore.
Aarhus/Reminiscences sfrutta la delicatezza di un lento giro di piano per accompagnare il malinconico ondeggiare del violoncello, perso nella memoria di tempi andati. Con Drifting Circles la Müller cambia decisamente passo e vira verso l’orchestralità, sviluppando un’epica progressione fatta di note alte ed eterei vocalizzi. Una cavalcata di ben 7 minuti, da seguire con la stessa sospensione con cui si osserva la maestosità di un’alba. Chiude il disco una title track intrisa di serenità, stimolante e coinvolgente, come se la Müller avesse voluto creare uno spazio di riflessione in fondo al disco, un momento di placida calma per permettere al resto dei suoi brani di sedimentare nella memoria dell’ascoltatore.
In definitiva, Heliopause è un’esperienza breve ma decisamente memorabile. Anne Müller trasfonde nel suo breve album l’essenza dell’artista alle prese con il suo primo banco di prova in solitario; eccitazione, paura, passione, malinconia, voglia di comunicare e di connettersi ad un livello più profondo con l’ampia platea che il moderno mercato discografico mette a disposizione. Il livello di empatia che si raggiunge già dopo il primo ascolto di questo bellissimo lavoro è quasi commovente, e credetemi se vi dico che è veramente difficile fermarsi al primo.
Troppo scoordinato per essere un musicista, troppo stonato per cantare, troppo povero per fare il produttore, sin dalla tenera età si decide a stare dal lato più affollato dei concerti (con l’eccezione di quelli di Bruce Springsteen, dove contare i membri della band è un’impresa). Cresciuto a pane e blues (a volte solo il secondo), dimostra sin da subito una straordinaria abilità nel ricordare a memoria i testi delle canzoni, il che purtroppo non gli è stato di nessun aiuto durante gli anni della scuola. Laureatosi con disonore nel 2015 in Giurisprudenza, oggi è avvocato, progettista, grafico, artigiano del cuoio, il tutto disponendo comunque della classica dotazione di due arti per lato del corpo, una coppia di orecchie ed un’unica, del tutto ordinaria massa cerebrale.
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