Il viaggio spaesante di Delphi tra techno, ambient ed echi etnici
Pubblicato il 19 Luglio via Planet Mu, Delphi è il terzo album del compositore canadese Tristan Douglas, in arte Antwood.
Delphi è un’opera concettuale a cui Douglas ha lavorato insieme alla sua ragazza, Olivia Dreisinger, basata su un personaggio di fantasia, una ragazza chiamata appunto Delphi che, in fuga da pene amorose e dalle proprie insicurezze, decide di scappare nell’antica città greca di cui porta il nome. Durante il viaggio, tuttavia, finisce per perdersi attraverso i percorsi da lei stessa creati a cavallo tra la propria immaginazione e la realtà.
Uno storytelling fantasy ma attuale, in cui l’autore introduce, fin dalla copertina, elementi autobiografici applicati al personaggio, per provare a descrivere un disagio generazionale diffuso e cercare l’immedesimazione da parte dell’ascoltatore.
La confusione e il senso di spaesamento sono in effetti il tema dominante del disco. 13 tracce di elettronica contemporanea, in un’alternanza tra arpeggioni techno impazziti e fucilate post-dubstep, con sonorità più industrial e momenti ambient, in cui si inseriscono, di tanto in tanto, strumenti classici come il pianoforte, gli archi o il flauto e i messaggi vocali, digitati e filtrati, di Delphi.
First Delphic Hymn (To Apollo) e Castalian Fountain introducono elementi di musica tradizionale greca, ma in una produzione complessiva che si mantiene sempre contemporanea e più vicina al mondo techno che a quello della ricerca sonora e della contaminazione di stili.
La successiva Ecstatic Dance è intrisa di elementi classici che tuttavia, anche in questo caso, non sviluppano dinamiche di stampo sinfonico ma finiscono anch’essi per fondersi nel sound iper-moderno del disco.
Chiude il disco il mood meditativo e malinconico delle ultime due tracce, in cui Delphi sintetizza il suo percorso trasmettendoci il proprio senso di spaesamento e inadeguatezza in un voler essere altrove, ma senza saper esattamente spiegare dove.
Quello che salta all’occhio (e all’orecchio) di Antwood è il contrasto che cerca continuamente di creare tra mondi distantissimi tra loro: il lavoro concettuale, lo storytelling tra il fantasy e il reale, il viaggio con relativa scoperta di sonorità classiche o etniche e una composizione mai scontata, si contrappongono ad una ricerca costante di sonorità dance molto spinte e nemmeno troppo per palati fini. Il tutto, probabilmente, in funzione di un bombardamento sonoro con cui provare a disorientare l’ascoltatore al pari della protagonista dell’opera.
Classe ’82, batterista e smanettatore di synth, attratto da tutto ciò che è ricerca e scoperta, con una particolare propensione per la musica con contaminazioni elettriche ed elettroniche, le città e i festival europei.
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