We Carry the Curse: continua il discorso sonoro del duo composto da Benjamin Finger e James Plotkin, nel tentativo di creare un ambient dalle tonalità cupe
Benjamin Finger e James Plotkin, noti per il loro gusto sperimentale e per averlo messo in pratica nel 2019 con il disco collaborativo dal titolo Pleasure Voltage, tornano insieme per dar vita a We Carry the Curse. Un nuovo disco di poche tracce lunghe per una durata totale di circa quaranta minuti.
Con We Carry the Curse il duo oscura ed espande il paesaggio sonoro ambientale di Pleasure Voltage, riuscendo in qualche modo a sommergere e ad aumentare le sue complesse profondità malinconiche. L’affidamento che i due artisti fanno sulle sonorità ambient e sulle tonalità cupe è impressionante. Dall’oscurità tonale che si annida al perimetro dell’apertura dell’album Aspire to Expire, ai legami rassegnati dell’intrinseca disperazione umana in Bound Together, l’album è uno scavo dell’oscurità di un’anima che non esita per far filtrare momenti di equilibrio e luce attraverso la superficie.
Ci troviamo di fronte ad un lavoro che si inserisce perfettamente sia nello storico del duo artistico, sia nel genere ambient/post rock, dove non c’è spazio per il vuoto, ma ogni secondo è riempito da una moltitudine di suoni volti a creare un’atmosfera ben delineata che possa colpire in qualche modo un nervo scoperto dell’ascoltatore suscitando in lui emozioni diverse.
We Carry the Curse è un invito a una resa dei conti introspettiva che risuonerà in modi sorprendentemente individuali per ogni ascoltatore, all’interno e oltre i confini delle sue composizioni. Cercando di raggiungere questo scopo il disco si può valutare sia dal punto di vista oggettivo, generale, sia da quello prettamente personale.
Nel primo caso niente da eccepire, conosciamo bene il valore di Finger e Plotkin e siamo certi che nel momento in cui ci approcciamo ad un loro lavoro, soprattutto se in collaborazione, andiamo incontro ad un lineare e concreto elaborato perfettamente inserito nel genere di appartenenza per caratteristiche e riuscita finale.
Nel secondo caso posso solo dire che il tentativo dei due di creare, in soli quattro brani, un atmosfera, un mood tale da immergere totalmente l’ascoltatore in essa fallisce nel momento in cui la canzone diventa un mantra, un continuo ripetersi degli stessi concetti sonori, portando l’attenzione ben lontana dal fulcro musicale. Il problema forse è stato la mancanza di coraggio nel non essere in grado di osare troppo.
Sergio Mario Ottaiano, classe ’93, Dottore in Lettere Moderne alla Facoltà di Lettere e Filosofia Federico II di Napoli. Musicista, giornalista, scrittore, Social Media Manager, Digital PR e Copywriter. Presidente del giornale Terre di Campania. Proprietario di Arcanum Fumetteria. Collabora per Music Coast To Coast, Fumettologica, BeQuietNight e MusicRaiser. Ha pubblicato svariati racconti e poesie in diverse antologie; pubblica con Genesi Editrice il romanzo dal titolo “Un’Ucronìa” Il 1/4/2014; pubblica con Rudis Edizione il saggio dal titolo “Che lingua parla il comics?” il 23/1/17.
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