Dopo aver raccontato l’isolamento con voce garbata, Bruno Bavota spiazza tutti con il breve ma sorprendente Ep Apartment Loops Vol. 1
Durante il periodo dannato della quarantena, in un appartamento incastrato nella città di Napoli, una sveglia ha suonato all’alba, si crede tutti i giorni. Era la sveglia di Bruno Bavota, talentuoso compositore partenopeo che, come molti suoi colleghi, ha trovato nel tragico isolamento del lockdown una molla creativa potentissima. All’alba, Bavota raccoglieva pensieri ed emozioni e gli dava forma, trasformandoli in un diario musicale da condividere senza filtri con il suo pubblico. Ad Apartment Songs Vol. 1 fa seguito oggi una bizzarra variazione sul tema intitolata Apartment Loops Vol. 1.
Bavota devia decisamente dalla falsariga delle sue canzoni da appartamento, confezionando un lavoro che con il suo fratello maggiore condivide forse solo l’ambientazione. Nel primo volume di Apartment Songs, il sovrapporsi delle melodie ai rumori tipici dell’appartamento di cui al titolo, come assi di legno che scricchiolano o gocce di pioggia sul vetro della finestra, conferiva ai brani un certo grado di autenticità e creava una connessione emotiva diretta fra ascoltatore e artista; eravamo a casa sua, nell’angolo di mondo dove nascono le sue idee, e ci sentivamo privilegiati per questo solo motivo.
La virata compiuta con Apartment Loops è disarmante ed eccitante allo stesso tempo. In un certo senso, siamo ancora nell’appartamento di Bavota, ma la magia dirompente della strumentazione digitale ha trasformato un contesto familiare in una finestra su qualcosa di diverso; siamo stati catapultati in un riflesso dell’ordinario mondo in cui viviamo, in cui tutto ciò che osserviamo, pur mantenendo la forma che ha sempre avuto, presenta dettagli fuori posto, increspature e dissonanze che ci trasmettono un senso di estraneità. Dall’autenticità delle “canzoni” all’artificialità dei “loop”, il passo sembra essere tutto sommato breve, perché la mano dell’artista e la sua cura del dettaglio sono ancora riconoscibili tra le pieghe dei synth, ma è come essere colpiti da fascio di luce improvviso; la sorpresa è inevitabile, ed è una sensazione quantomai benvenuta in un momento ovattato come quello che stiamo vivendo.
L’esperimento di Bavota dura una ventina di minuti, un tempo più che sufficiente a sottolineare con forza l’estensione degli orizzonti creativi di questo talento nostrano. Chi si era fatto un’idea precisa di Bruno Bavota, chi l’aveva incasellato negli spazi dedicati ad una certa (pur ispirata) forma di neo-classicismo da camera dovranno fare un passo indietro e ricredersi. Quest’ultima uscita discografica lo allontana da Ludovico Einaudi tanto quanto lo avvicina a Nils Frahm, e per questo merita senz’altro un plauso particolare. Nell’artista napoletano c’è molto più di quello che si credeva di sapere, e sebbene vi fosseroavvisaglie piuttosto evidenti già nelle contaminazioni di Get Lost, Apartment Loops ne è la definitiva conferma.
Leggi l’intervista a Bruno Bavota Qui
Troppo scoordinato per essere un musicista, troppo stonato per cantare, troppo povero per fare il produttore, sin dalla tenera età si decide a stare dal lato più affollato dei concerti (con l’eccezione di quelli di Bruce Springsteen, dove contare i membri della band è un’impresa). Cresciuto a pane e blues (a volte solo il secondo), dimostra sin da subito una straordinaria abilità nel ricordare a memoria i testi delle canzoni, il che purtroppo non gli è stato di nessun aiuto durante gli anni della scuola. Laureatosi con disonore nel 2015 in Giurisprudenza, oggi è avvocato, progettista, grafico, artigiano del cuoio, il tutto disponendo comunque della classica dotazione di due arti per lato del corpo, una coppia di orecchie ed un’unica, del tutto ordinaria massa cerebrale.
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