Da qui i grattacieli erano meravigliosi: corde sperimentali e punti di vista sonori con Cabeki
Da secoli gli uomini erigono maestose architetture celebrando la propria onnipotenza, ignari che dietro le loro opere si nasconda la contraddizione di un falso progresso. Da qui i grattacieli erano meravigliosi descrive l’immaginario storico-sociale dei nostri anni attraverso la critica constatazione delle colpe che gli uomini devono irrimediabilmente scontare. Il disco è l’ultimo lavoro di Cabeki, moniker di Andrea Faccioli, in uscita per Lady Blunt Records a quattro anni dalla pubblicazione di Non ce la farai, sono feroci come bestie selvagge.
Grazie alle meraviglie della presa diretta, il lavoro è stato interamente autoprodotto nel giusto compromesso tra tecnologia digitale e rivisitazione strumentale analogica (ormai marchio di fabbrica del chitarrista veronese). Una raffinata commistione di elementi improbabili ma che nel loro insieme conferiscono una forte identità sonora, spaziando dalle derive strumentali cameristiche all’imaginary soundtrack, dalle attitudini cinematiche alla forma canzone d’autore, in un pregevole connubio di pop rotondo e sperimentazione.
Cabeki suona un folk strumentale “sbagliato”, anticonvenzionale, dove la chitarra acustica si elettrifica con gli effetti a pedale, gli echi a nastro e le tecnologie del suono in un approccio abbastanza “naturale” dello strumento. Ed è proprio il movimento il motore performativo della sua musica, dalla cadenza ipnotica del fingerpicking alla simmetrica pressione del piede su un controller, il tutto condensato in una struttura organizzativa di one man band. Fin dai primi minuti (vedi Oscurati dalle nuvole) gli arpeggi sospendono l’ascoltatore in una sequenza di tessiture minimali ed evocative scandite da una drum machine rigorosamente analogica (Sound Master del 1982).
Andrea Faccioli con le sue corde fonde Mediterraneo, nord Europa e Stati Uniti rurali per arrangiamenti che a tratti ricordano la colonna sonora di Ennio Morricone e a tratti quella di Nino Rota (come in I grattacieli erano meravigliosi e in Alberi nel deserto); i synth, invece, ricavati dall’animoog, giocano un ruolo chiave nell’estetica di questo disco, arrotondando le tracce con onirici tappeti ambient e strutturando delle vere e proprie palafitte glitch e kraut (es. Fra cielo e terra). In questa miscellanea di contaminazioni e riferimenti stilistici, la Martin mantiene le sue caratteristiche timbriche, omaggiando in primis John Fahey (es. Steli di Cristallo) e poi Francisco Tàrrega, Manuel Maria Ponce ed Heitor Villa-Lobos.
La ricerca di nuove forme sonore si riconferma anche qui un tratto distintivo delle produzioni di Cabeki; ne è un esempio Al futuro, dove il motorino di un mangiacassette collegato ad una corda di nylon permette di ottenere giochi di risonanza davvero particolari. In sintesi, Da qui i grattacieli erano meravigliosi si pone in linea con le aspettative che l’ascoltatore ha imparato a maturare nei confronti delle sperimentazioni di Cabeki. Allo stesso tempo, tuttavia, si presta benissimo ad essere un progetto visionario e riflessivo di strumenti e stili diversi, con uno sguardo al passato, al presente e al futuro della visione compositiva. Un “punto di vista sonoro” da cui ammirare uno stupefacente declino.
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