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L’esordio di Cécile Seraud

Originaria di Lorient, nel sud della Bretagna, Cécile Seraud, classe  ‘78, ci mette un po’ di tempo prima di trovare la propria vocazione artistica, diplomandosi al conservatorio dapprima in chitarra classica per poi realizzare che in realtà è il pianoforte lo strumento del cuore, tanto che decide di acquistarne uno e di iniziare a comporre le tracce che compongono Shoden, primo ed ambizioso lavoro, in uscita il 23 ottobre 2020.

Shoden è un disco di solo piano, fatta eccezione per Shoden I e Shoden III dove si registrano le incursioni della violoncellista Juliette Divry. Essenziale e pulito, il disco ha nell’evocativitá dei paesaggi sonori la caratteristica peculiare. Tutte le note, così’ come le pause, si caricano di un forte significato emotivo ed evocano sentimenti, i quali, come affermato dalla stessa autrice, difficilmente sono esprimibili con le parole. Uno dei sentimenti, forse il sentimento, che più di tutti resta scolpito nelle dieci tracce di Shoden è la solitudine, questo grande mostro incolore che le avvolge tutte. L’elogio della solitudine è particolarmente apprezzabile in Frozen earth I, brano che apre il disco, e Frozen Earth II, composizioni che sono delle vere e proprie clip dal polo glaciale artico, landa gelida e desolata.

Le baiser blue, il bacio blu, e’ forse la composizione migliore del disco. Le note di piano, sulle quali potrebbe benissimo infrangersi la tromba del Chet Baker di Almost blue (traccia con la quale sono evidenti le analogie nel titolo e perché no, nel mood) fanno venir fuori tutta la sensibilità della Seraud che riesce a costruire un’atmosfera onirica e piacevolmente malinconica. Il valzer che non è un valzer di Petite valse perdue, invece ci racconta di un sentimento, amoroso probabilmente, che pian piano si intensifica e diviene sempre più manifesto mentre Life, singolo che anticipa l’uscita del disco, è una riflessione profonda sul tempo, che scorre inesorabile e modifica la percezione delle cose e degli eventi della vita. La title track Shoden articolata in tre parti, dove fa capolino il violoncello della Divry, è un brano che non desta particolare stupore. Esso rappresenta il tentativo dell’artista francese di mettere a nudo tutte le debolezze e le “crepe” (shoden=crepa) dell’animo umano che vengono fossilizzate in una istantanea dai contorni grigi.

Un po’ Chopin, un po’ Yann Tiersen, un po’ Sigur Ros, Shoden e’ il racconto solo piano delle fragilità umane. A tratti eccessivamente drammatico e monotono, complessivamente il primo lavoro della Seraud è un lavoro che merita più’ di un ascolto per essere compreso a pieno, ma che una volta decifrato rivela buoni spunti.




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