Hausmusik dei Ceeys è la sintesi estrema di un dualismo artistico, un dialogo acustico inebriante tra due talentuosi fratelli
Il dualismo è il tema centrale di Hausmusik, l’ultima intensa impresa dell’interessantissimo progetto artistico dei fratelli Selke che prende il nome di Ceeys. Due strumenti, violoncello e pianoforte, diversi ma complementari come i due fratelli che li suonano, in un fluire continuo di idee, pensieri, sensazioni e ricordi di quella Germania divisa a metà da un muro nella quale i Selke sono cresciuti.
Hausmusik segna un allontanamento dal concetto di fondo degli album precedenti, quello di un suono manipolato e filtrato dalla lente dell’elettronica, per comunicare gli sbocchi artistici di un’infanzia trascorsa nell’abbraccio, a volte opprimente, della DDR; qui la struttura musicale si semplifica fino a ridursi ad un dialogo faccia a faccia tra un violoncello ed un pianoforte, e fra le mani che li animano. Niente elaborazioni artificiose, nessun vezzo stilistico, solo un continuo, a tratti ossessivo botta e risposta tra i due strumenti che si lanciano provocazioni, suggerimenti e assist senza tregua.
Nel reame dell’acustico appena appena rimaneggiato, l’effetto finale per l’ascoltatore è affascinante, ma tende a lasciare con poche energie. I fraseggi tra i Selke creano spunti interessanti senza soluzione di continuità, ed è palpabile l’intesa fra i due musicisti; ci troviamo di fronte ad una connessione profonda tra i due centri artistici del disco, talmente forte che a volte si fa fatica a seguire il discorso. Tecnicamente, Hausmusik è ineccepibile, inebriante, coinvolgente.
Vi sono tracce emotivamente molto intense attraverso le quali si può osservare un mondo intero, con tinte mai viste. È il caso di Reunion, sia nella versione breve sia in quella estesa, nella quale i fratelli Selke mettono in scena un vero e proprio rituale di evocazione; lampi colore, cavalcate trionfali, un arco che sembra volare e un pianoforte che pare suoni di sua spontanea volontà. Yes, Brick by Brick e No. Eins sono storie senza parole, sanno comunicare rispettivamente entusiasmo e malinconia come se ci fosse una coppia di voci narranti che evocano ricordi intrisi di emozioni.
Sono i brani più ossessivi e martellanti, come Im Fenester, il trittico Circa-Belka-Strelka o Fallen che lasciano maggiormente senza fiato, e non tanto per lo stupore, quanto per l’impegno mentale richiesto per non perdersi i dettagli della conversazione. Alla fine di ciascuno di questi brani si prova una sensazione strana, che ricorda vagamente il collo indolenzito dopo una partita di tennis (dal vivo) tra due tennisti incredibilmente bravi e veloci. A volte, la pallina neanche la vedi partire.
Troppo scoordinato per essere un musicista, troppo stonato per cantare, troppo povero per fare il produttore, sin dalla tenera età si decide a stare dal lato più affollato dei concerti (con l’eccezione di quelli di Bruce Springsteen, dove contare i membri della band è un’impresa). Cresciuto a pane e blues (a volte solo il secondo), dimostra sin da subito una straordinaria abilità nel ricordare a memoria i testi delle canzoni, il che purtroppo non gli è stato di nessun aiuto durante gli anni della scuola. Laureatosi con disonore nel 2015 in Giurisprudenza, oggi è avvocato, progettista, grafico, artigiano del cuoio, il tutto disponendo comunque della classica dotazione di due arti per lato del corpo, una coppia di orecchie ed un’unica, del tutto ordinaria massa cerebrale.
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