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Viaggio nel mondo di Cemento Atlantico

Alessandro “ToffoloMuzik” Zoffoli in arte Cemento Atlantico è un producer e DJ romagnolo che mischia i linguaggi elettronici del future garage e del post-dubstep partendo dai field recording per tradurre in musica tradizioni ed esperienze di viaggio. Il suo nuovo album Dromomania è in uscito il 21 giugno 2024 tramite Bronson Recordings, e fa seguito al debutto intitolato Rotte Interrotte del 2021.

Ciao Alessandro, parliamo subito del tuo percorso artistico, come sei arrivato a diventare Cemento Atlantico e perché la scelta di questo moniker.

Ciao, e grazie infinite per l’invito!

Io nasco come dj, sono figlio del Dark e del Punk: approcciai il mixer in giovanissima età e da li la mia ricerca discografica si plasmò e si allargò verso tante direzioni musicali.

Diciamo che sono sempre stato un onnivoro del suono: adoravo costruire riverberi e creare loop e su nastro sin da ragazzino, così il mio sogno di essere produttore oltre che dj, prese sempre più forma.

I miei impegni in consolle sono cresciuti tantissimo negli anni e in maniera parallela anche i miei viaggi alla scoperta di altre culture in giro per il mondo.

Cemento Atlantico è nato così: ho incamerato input discografici e suoni registrati durante i miei viaggi per anni. Non sapevo se avrei mai potuto realizzare il mio sogno da producer… ma un giorno il mondo si fermò per la pandemia da Covid-19. Senza un biglietto aereo in tasca, e senza più un lavoro decisi che era arrivato il momento: misi in ordine i file e le idee e ridiedi vita a tutte le mie registrazioni di viaggio, riscrissi le colon- ne sonore delle mie esperienze da backpacker, ed eccomi qua con due album, vissuti e documentati in circa 25 anni di peregrinaggio attorno al globo.

Il moniker Cemento Atlantico nacque dalla connessione musicale che ritrovai tra le varie culture, come se il mondo dopotutto avesse lo stesso suono da secoli, raccontato semplicemente attraverso linguaggi non troppo diversi tra loro. Insomma ho immaginato tutte le culture “Cementate” in un’unica amalgama e l’ho fatto sull’ Oceano Atlantico, una parte importantissima del mio vissuto visto che fu il primo oceano che attraversai e quello che ho sorvolato più volte.

In Dromomania sei diventato un dromomane, ossia colui che vede nel camminare un modo per liberare la propria mente da tutti i pensieri che lo affliggono. Quanto è importante oggi la musica come denuncia sociale e che ruolo ha secondo te un artista nella società odierna?

Credo che la vita da dromomane non sia riconducibile ad una fuga dissociativa o alla ricerca di un semplice stato di libertà. La dromomania è uno stato emotivo necessario per arricchire le proprie esperienze di vita. E’ l’esatto opposto di una fuga, è la scoperta e la completezza.

Ho visitato tanti paesi, ricchi di contraddizioni, soprusi, ribellioni e abusi. Se nel mio primo lavoro “Rotte in- terrotte” mi limitai spesso a condividere cartoline di viaggio senza calcare troppo la mano sugli aspetti poli- tici e sociali, in “Dromomania” ho rielaborato il mio punto di vista: i ritmi sono stati dettati da un’altra per- cezione del mondo che ho vissuto. La denuncia sociale e la lotta contro l’ignoranza credo siano diventati il mio unico scopo in questo album.

Ovviamente (e per fortuna) sono migliaia gli artisti che hanno dedicato la loro carriera alla denuncia, la mia voce non sarà così forte e influente come alcuni mostri sacri ma non credo mi interesserà mai fare musica fine a stessa, atta al semplice riempimento di un dance-floor, necessito sempre di un messaggio da condivi- dere e cerco di stare il più lontano possibile dalle banalità.

Nei miei lavori la parte narrativa riportata sui booklet degli album e sulle mie pagine digitali, ha un ruolo importantissimo, la descrizione di eventi o denunce protagoniste dei miei brani sono forse superiori all’im- patto sonoro delle composizioni stesse. A volte mi sento più un documentarista che un produttore. Ovvia- mente sogno un mondo in cui il pubblico scavi nel pensiero che si cela dietro ad ogni opera artistica, sogno un mondo fisico, emotivo ed organico, fatto di persone e non di “device”.

Come studi il tipo di sviluppo che avrà un brano e quando decidi che è finito?

Io ho una sorta di regola non scritta: qualsiasi mio brano può svilupparsi da un solo punto di partenza, il field-recording! La registrazione di un evento vissuto in prima persona è la vera “materia” di ogni opera, non vorrei mai essere catalogato come un producer pseudo-elettronico dai colori etnici.

Gli strumenti, i canti, e i rumori che ho registrato in giro per il mondo non sono dei semplici souvenir sonori, sono vere sorgenti atte a raccontare una storia. Ho sempre documentato tutto nel rispetto delle culture per condividere un significato emotivo amplificato e sorretto da battiti concreti.

La struttura che ho scelto per ricalcolare un evento o un contesto geo-politico è quindi quella di ridare vita ad uno o più field-recording attraverso un percorso analogico e digitale, si tratta di uno schema che potrebbe non avere mai fine. Ogni mio brano in origine dura circa 20 minuti come se la sua stesura fosse una serie di frenetici appunti presi su un taccuino, ogni immagine, ogni colore, ogni sensazione che ricordo deve esse- re catalogata. Successivamente ripulisco la scena, cerco qualcosa di più nitido e compresso, d’impatto.

L’idea di contaminazione musicale che c’è nella tua musica da dove arriva?

Sinceramente non saprei rispondere nemmeno io a questa domanda, credo di aver incamerato talmente tanti input in questa vita da non riuscire più definire cosa mi abbia influenzato o dato idee: tutto e niente. Ma se devo dire la verità, in qualsiasi cosa io faccia credo che il mio inconscio e il mio cuore prendano come punto di riferimento il lavoro dei Clash: la band che reputo tra le più importanti nell’era moderna. Il primo cross-over musicale, sfacciato, autentico, senza freni ma coerente a un’idea di fondo.

Nell’album passi dai campionamenti del khaen, strumento a fiato della tradizione thailandese, a quelli del- l’esraj, strumento indiano ad arco. Come scegli gli strumenti da campionare e cosa rappresenta per te la tecnica del campionamento.

Come ho risposto prima, il campionamento è il mio punto di partenza assoluto, anche gli strumenti e i noise sono frutto di pura casualità. Non ho mai coinvolto un musicista nei miei viaggi facendogli eseguire una par- titura o un tema. Io passeggio, mi fermo, studio e premo il tasto “REC” quando qualcosa mi rapisce, mi guardo attorno e poi nascerà tutto il resto una volta tornato a casa.

Chi stai ascoltando recentemente?

In questi ultimi giorni sto riascoltando tutto il catalogo della “Vampi soul” e della “Ostinato records” diciamo che mi sto’ ripulendo le orecchie da tutto ciò che è “clean” e moderno. Ciononostante la mia ricerca sul pre- sente prosegue e mi sto soffermando sempre più spesso sulle produzione del collettivo Nyege Nyege di base nei paesi sud-africani, credo che ad oggi sia l’unico collettivo che goda di autenticità, hanno saputo rielaborare il GQOM ridandogli nuove tinte interessantissime. Rimango fedele anche al panorama UK ma senza avere artisti di particolare riferimento, scovo sempre più spesso brani di Chugger – una corrente musicale molto dub e dark della modern dance-hall – che trovo intriganti, fuori dal coro ma con cognizione di causa. Poi ogni tanto mi lucido gli occhi con Paolo Conte come ho sempre fatto.

Hai già progetti per il futuro?

Ovviamente si, avrei già voglia di fare uscire qualcosa, il tema sarà sempre il viaggio, ma sarà diverso, e sarà un viaggio di sola andata… non anticipo altro.

Prima di salutarci, pensando alle nuove generazioni, cosa diresti ai ragazzi che aspirano ad un percorso come il tuo?

Di viaggiare ed essere curiosi, di lottare contro l’ignoranza e tutto il resto verrà da solo e naturalmente. Di certo gli consiglierei di non aspettare una nuova pandemia per esprimere se stessi come ho fatto io, forse per i propri sogni bisogna trovarlo ogni giorno un po’ di tempo.

Leggi la recensione dell’album Dromomania QUI



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