C’mon Tigre al Locomotiv Club. Come fare l’amore con il mondo
Per il secondo appuntamento di Express Festival, il festival che da dodici anni regala una finestra sul mondo agli appuntamenti live bolognesi, è toccato ai C’mon Tigre abbattere le mura rosse del Locomotiv Club.
Sì perché quello in Via Selrio è stato un live senza generi, etichette, dichiarazioni di generalità; si è tolto il velo delle convenzioni e si è fatto l’amore con il mondo.
Gli uno nessuno e centomila dei C’mon Tigre, il collettivo di musicisti che ruota attorno al duo stabile, che tende le braccia e si tuffa nel mediterraneo, salgono sul palco e regalano vivide immagini che hanno il sapore di racconti che appartengono a tutti.
Ci si presenta con C’mon Tigre, luci fumose e il graffio in un loop sensuale e accattivante, che ammalia i presenti e li avvolge pian piano nei fiati che attraversano lo stretto di Gibilterra e diventano una Guide to Poison Tasting, brano dell’ultimo lavoro Racines. Un album di radici, di esseri umani, che viaggia tra il funk, l’afro beat, il jazz e il soul ma allo stesso tempo perde riferimenti. È una Gran Torino quella che viaggia veloce scandendo chilometri al ritmo di rullante e chitarra, che fa soste con fiati e sintetizzatori e ha spie che lampeggiano al ritmo di uno xilofono. Sabbie arancioni si attraversano con Fan for a Twenty Years Old Human Being, dove synth si intrecciano con strumenti acustici per un disegno più contemporaneo che mai.
La statura artistica dei nostri, si percepisce nel fondere con ebbrezza il funk più sensuale con i fiati più nostalgici ad appigli art rock dal sapore Radiohead. Un flow costante di sovrapposizioni che si triturano e mescolano in grovigli corali.
I micromondi senza spazio e senza tempo di Paloma, Quantum of The Air, 808, preparano degnamente il terreno a Behold The Man, il passaggio che mette a segno la conquista definitiva dei presenti.
L’encore è affidato a Mono No Aware che unisce incanto e disincanto, uno sguardo calmo sulla fine, un concetto estetico giapponese che è disegnato egregiamente dalla bellezza disarmante di note che portano corpo e mente al più piacevole degli abbandoni.
Il gran finale con Federation Turisienne de Football, con i fiati solenni e le sue chitarre meticce, ci lascia tutti avvolti in un movimento costante, speziato, mutante e avvolgente, sospesi in equilibrio su quel grande arazzo che è l’umanità.
Nata ad Aversa, da qualche anno a Bologna; belli portici, il melting pot culturale, i tortellini, i concerti, ma l’umidità resta un problema serio. Osservo il mondo immaginandovi una colonna sonora e se c’è del romanticismo alla Serendipity, questa sarà sicuramente Mind Games. La prima cosa che mi interessa dei concerti sono le luci, le luci e la gente. Sogno che un giorno si ritenga importante una rubrica del tipo “La gente che va ai concerti”. Alle feste mi approprio con prepotenza, del ruolo di dj, e adoro quando arriva il momento dei Bee Gees. Faccio classifiche per ogni aspetto dello scibile umano, playlist per ogni momento topico della vita. Canzone d’amore più bella di sempre Something (ma penso di essermi innamorata con Postcards from Italy), per piangere Babe I’m gonna leave you, colazione con Mac de Marco, quando fuori è freddo i Fleet Foxes, ma se c’è divano e film, è subito Billy Joel. Riflessioni esistenziali con Bob Dylan e Coltrane, mi incanto col manuche, shampoo con Beyoncè, terno al lotto con i Beach Boys, libiiiidine con Marvin Gaye. Stupore e meraviglia con The Rain Song, Nina Simone se necessito di autostima, forza e coraggio, sogno infinito con Sidney Bechet.
Potrei continuare, ma non mi sembra il caso. Si accettano suggerimenti e elargiscono consigli.
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