Con The Cell, David Allred ci regala un lavoro piccolo, umile, profondamente folk; l’anticamera di una prossima, probabile, consacrazione
Il protégé di Peter Broderick colpisce ancora. Ok, è vero, forse relegare la figura di David Allred a quella di “talento scoperto dall’amico Broderick” è un po’ limitante; dopo diverse comparsate nelle opere di illustri compagni di etichetta alla Erased Tapes, un lavoro collaborativo con il suo mentore e scopritore, qualche tour dal vivo e un album da solista, possiamo affermare con una certa sicumera che Allred è ormai avviato su un proficuo percorso artistico personale.
L’ultimo lavoro di David, un mini-album dal titolo The Cell, è un segnale forte del fatto che il musicista californiano sia a buon punto del processo di costruzione di una identità ben definita. Sarà un cliché, ma David Allred è il prototipo dell’artista folk moderno: introspettivo, lento, un po’ malinconico, ben intonato, bravo nello scrivere e completamente dedito al genere che fa. The Cell è un concentrato di tutto quello che ad Allred riesce bene, 20 minuti di onesto dialogo emozionale con l’ascoltatore.
Sarebbe difficile entrare nel merito delle singole tracce, considerata la durata di alcune (alcune durano un minuto o poco più) o la frammentarietà di altre (Fading Away sembra l’inizio di qualcosa di bello ma non c’è molto altro, Full Moon non è altro che un fischiettare al chiaro di luna), ma un paio di brani forse spiccano sugli altri.
La title track, ad esempio, sembra provenire da molto lontano, non solo per i riverberi profondi e le tonalità cupe, ma anche per la capacità di suscitare immagini notturne e un po’ aliene, col suo cantato dal timbro quasi rituale e il suo pianoforte pesante, oscuro, bassissimo.
Ci sarebbe poi Nature’s Course, che è un perfetto omaggio allo stile dei mostri sacri del folk vecchia scuola; minimalista e piena di chiaroscuri melodici, è forse la traccia di punta di questa (tutto sommato) convincente micro-produzione.
Negli 8 mesi che separano The Cell da The Transition, l’album d’esordio, David Allred non è stato con le mani in mano. Più che produrre copiosamente, il cantautore californiano si è preso del sacrosanto tempo per riflettere sulla direzione da intraprendere con la sua produzione artistica, e ha deciso di condividere con noi alcuni passaggi di questa ricerca artistica. Un intento lodevole, e un’opera che nella sua modestia (e a tratti, nella sua timidezza) ci offre l’immagine di un musicista maturo e pronto a sorprendere con produzioni di ben altro calibro.
Troppo scoordinato per essere un musicista, troppo stonato per cantare, troppo povero per fare il produttore, sin dalla tenera età si decide a stare dal lato più affollato dei concerti (con l’eccezione di quelli di Bruce Springsteen, dove contare i membri della band è un’impresa). Cresciuto a pane e blues (a volte solo il secondo), dimostra sin da subito una straordinaria abilità nel ricordare a memoria i testi delle canzoni, il che purtroppo non gli è stato di nessun aiuto durante gli anni della scuola. Laureatosi con disonore nel 2015 in Giurisprudenza, oggi è avvocato, progettista, grafico, artigiano del cuoio, il tutto disponendo comunque della classica dotazione di due arti per lato del corpo, una coppia di orecchie ed un’unica, del tutto ordinaria massa cerebrale.
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