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Il viaggio temporale dei Die Zucht nella Deutsche Demokratische Republik

“Das ist Verboten”! (Questo è vietato!)

Tenete bene a mente questa frase poiché ci servirà ad introdurre il disco oggetto di questa recensione.

Per discorrere con cognitio rerum di Heimatlied (Major Label, 2020) infatti bisogna fare un passo indietro al 1984, periodo in cui la Germania è ancora spaccata in due da un sottile linea rossa che divide la filo-statunitense parte occidentale (Bundesrepublik Deutschland), dalla Deutsche Demokratische Republik o DDR, stato socialista sotto l’influenza dominante dell’Unione Sovietica.

A Lipsia, nel cuore della DDR, la rabbia e la frustrazione per una situazione politico-sociale obiettivamente opprimente e stagnante, veniva esorcizzata attraverso il ricorso alla musica e all’arte che fungevano da valvole di sfogo per i giovani. Tuttavia il governo autoritario non tollerava questa exit strategy e di frequente ricorreva a metodi come la censura per evitare che idee e modi di esprimersi poco ortodossi si diffondessero tra la popolazione. 

Il caso vuole che nella Lipsia filo-sovietica, quattro giovani,  colpiti e affondati dal fenomeno punk che nel frattempo si radicava dappertutto in Europa avessero fondato una band dal provocatorio nome Die Zucht (trad. “la razza”). Proprio a causa dei divieti e della censura operata dal governo della DDR la band dovette cambiare nome passando da Die Zucht a Die Art dopo solo qualche mese di attività. 

Tuttavia, 35 anni dopo,  i Die Art, che nel frattempo hanno continuato a fare musica fino a divenire una sorta di punto di riferimento in terra tedesca per gli amanti del punk e della dark-wave, decidono di ritornare al nome originario Die Zucht per dare alla stampe Heimatlied, album che contiene undici brani scritti e musicati dai Die Zucht tra il 1984 e il 1985.

Il disco è introdotto dalla ottima Heimatlied, title track tenebrosa di chiara ispirazione new wave in cui il duo ritmico della band composto da Thomas Stephan (batteria) e Christoph Heinemann (basso), fa risaltare le contorsioni chitarristiche dell’estroso Andrè Friedrich.

Dopo la sfuriata punk di Schutt und Asche si arriva a Chrome, composizione che mi piace definire Litfibiana (Litfiba che contemporaneamente animavano il movimento new wave italiano).

La successiva Zucht und Ordnung (trad. disciplina e ordine) non è un brano che ti fa saltare dalla sedia ma che tuttavia ben descrive l’insofferenza nei confronti del governo della DDR. Endlos invece è un pezzo esplosivo dotato di accattivante ritmica punk e attributi dark-wave, caratterizzato da una pregevole performance vocale del frontman della band, il magnetico Holger “Makarios” Oley ed arricchito dalla partecipazione di Thomas Gumprecht alla chitarra.

Irrlichter è una composizione altrettanto oscura mentre Abwärts  esplora territori sostanzialmente rock. 

Menzionabile è anche l’equilibrata Im Spiegel meiner Träume, traccia che chiude egregiamente il caratteristico viaggio temporale-musicale dei Die Zucht nella Deutsche Demokratische Republik prima della caduta del muro di Berlino.




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