Transitions III è l’ultimo capitolo della trilogia di Fabrizio Paterlini dedicata alle sue originali microstorie musicali
Con Transitions III, Fabrizio Paterlini completa la sua collezione di microstorie musicali, iniziata nel Novembre del 2019. I brani che compongono il terzo capitolo, come di consueto, non superano i due minuti di lunghezza complessiva e sono tutti caratterizzati da grande garbo e delicatezza compositiva. Arrivati ormai alla fine del percorso, abbiamo imparato a conoscere Paterlini, ci siamo affezionati all’idea di brani brevi ma stimolanti e non ci lasciamo scoraggiare quando un’idea musicale interessante si affievolisce prima di averla messa del tutto a fuoco. I brani di Transitions non sono fatti per durare a lungo, sono pensati per essere fiocchi di neve belli ed effimeri, il cui scopo principale è fornire un incipit emotivo che la nostra mente riempirà di contenuti nel tempo che le viene concesso.
Non potremmo, peraltro, considerare ciascun album come un’opera a sé stante. Lo avevamo già detto in occasione dell’uscita del secondo volume: Transitions è una trilogia, o meglio un’unica opera spezzata in tre capitoli di una manciata di minuti ciascuno. Presi singolarmente, peccano di brevità, ma ascoltati come un corpus unico riescono comunque a trasmettere un messaggio. Le tre transizioni di Paterlini sono collezioni di attimi, come sfogliare una scatola piena di fotografie disparate: alcune sono nitide, altre più sfocate, alcune a colori e altre in scala di grigi, ma tutte contengono o nascondono una storia.
Riprendendo la domanda di Paterlini, quella che lui stesso si è posto quando ha concepito Transitions (“Quante emozioni sei in grado di provare in un minuto?”), la risposta non può che essere: dipende. Forse sono tante emozioni contrastanti che si avvicendano in una finestra temporale così piccola, come quando si richiama alla mente il ricordo di una persona che, nel bene e/o nel male, è stata per noi importante; forse è una sola, potente e preponderante, che occupa l’intero minuto e ne travalica i confini, come quando la memoria ci riporta ad un momento d’estasi, ad un trauma, ad un sogno o ad un ricordo d’infanzia. La domanda, dunque, non è quante emozioni si possono provare in sessanta secondi, piuttosto dovremmo chiederci quanto potente è la musica quando funge da catalizzatore per questo genere di emozioni.
Transitions, con i suoi bocconi facili da assaporare, riesce abilmente ad accarezzare i percorsi cognitivi dell’ascoltatore, portandolo per mano nei recessi della memoria o spingendolo con gentilezza nei territori inesplorati dell’immaginazione. È il Virgilio del nostro percorso attraverso i labirinti della mente, che dispensa pillole di saggezza sotto forma di brani tanto brevi quanto affascinanti. Lo stile musicale di Paterlini è umile ed essenziale, privo di virtuosismi inutili e dotato di un grande potenziale comunicativo e immaginifico. Fabrizio Paterlini mette alla prova la sua capacità di sintesi e si conferma, per la terza volta consecutiva, un ottimo narratore.
Troppo scoordinato per essere un musicista, troppo stonato per cantare, troppo povero per fare il produttore, sin dalla tenera età si decide a stare dal lato più affollato dei concerti (con l’eccezione di quelli di Bruce Springsteen, dove contare i membri della band è un’impresa). Cresciuto a pane e blues (a volte solo il secondo), dimostra sin da subito una straordinaria abilità nel ricordare a memoria i testi delle canzoni, il che purtroppo non gli è stato di nessun aiuto durante gli anni della scuola. Laureatosi con disonore nel 2015 in Giurisprudenza, oggi è avvocato, progettista, grafico, artigiano del cuoio, il tutto disponendo comunque della classica dotazione di due arti per lato del corpo, una coppia di orecchie ed un’unica, del tutto ordinaria massa cerebrale.
[gs-fb-comments]
Commenti recenti