Il Technopiano perfetto di Fabrizio Rat
“Prendi un pianoforte, lo strumento classico e romantico per eccellenza, e proiettalo nel panorama sonoro ipnotico e potente della musica techno” così afferma Fabrizio Rat per descrivere il suo progetto musicale. Pianista di formazione classica e produttore di musica elettronica, il musicista torinese con alle spalle due Ep (La Machina e Technopiano) e l’album d’esordio The Pianist, il 14 febbraio 2020 ha pubblicato un nuovo lavoro discografico: Shades of Blue che lo porta ad esplorare atmosfere ipnotiche e morbide.
Come è nata l’intuizione di unire acid e techno con il pianoforte?
E’ un’idea che mi gira in testa da sempre, da quando ero adolescente. Ha messo molto tempo a concretizzarsi, e sono dovuto passare per tante avventure e musiche differenti prima di arrivare alla forma attuale. Ma credo che il percorso abbia in qualche modo definito la natura di questa fusione, che per me doveva essere per forza di cose autentica e profonda.
Prima di farti conoscere con La Machina EP, cosa faceva e chi era Fabrizio Rat?
Sono musicista da sempre, ho iniziato a suonare a 4 anni, professionalmente da quando ne ho 18, sono passato da generi e musiche molto diverse. Una delle giornate tipiche della mia adolescenza era, dopo scuola, passare il pomeriggio con altri dj a produrre tracce techno, e la sera scrivere un brano per orchestra. 13 anni fa mi sono trasferito a Parigi , ho fondato e suonato in molte band alcune delle quali durano ancora oggi come Cabaret Contemporain, con cui facciamo musica elettronica prodotta con strumenti acustici.
Come nasce una tua produzione? Avviene prima la creazione di melodie al piano o emerge prima la parte tecno realizzata con i sintetizzatori?
Nasce generando con diversi sistemi del materiale musicale, fino a quando non trovo qualcosa di cui riconosco le potenzialità e quindi inizio a svilupparlo. Per esempio accendo il modulare ed inizio ad improvvisare e registrare diverso materiale che in un secondo tempo ritaglio, seleziono, modifico e produco per dare forma ad un brano. Mi piace lasciarmi guidare da processi generativi più o meno matematici e che le idee possano nascere da lì, per potermi in qualche modo sorprendere ed uscire dai cliché di quello che farei naturalmente.
I tuoi precedenti lavori discografici erano più orientati verso il clubbing. Con Shades of Blue hai ammorbidito i timbri della tua musica. A cosa è dovuto questo cambiamento e dove pensi che sia più adatto ascoltare il tuo album dal vivo?
Anche i miei brani futuri, che sono già pronti, sono orientati al clubbing, ma questo album è stato l’occasione per provare qualcosa di diverso, cercare una dimensione ipnotica quasi senza beat, in una sfera diversa da quella della techno. Stavo lavorando ad una forma live del disco, ma poi mi sono fatto prendere da nuove idee e la priorità è passata al mio nuovo live set techno che ho provato la settimana scorsa in Sud America e di cui sono molto contento. I miei due live diventeranno molto diversi, il set techno ha preso una dimensione rave più aggressiva, mentre quello di Shades of Blue si muoverà in acque più calme anche se ritmate, e sarà orientato a contesti di ascolto, con un live A/V.
Shades of Blue abbraccia una vasta gamma di suoni. Come riesci ad ottenere il giusto equilibrio tra i vari elementi di una traccia, senza mai sfociare in una macedonia ma risultando sempre elegante.
Imponendomi dei limiti e cercando di essere fedele il più possibile al carattere emozionale della traccia ed all’idea principale. Cercando di lasciare ’respirare’ ogni singolo elemento nello spettro sonoro.
Qual è il tuo set up per i live?
Una drum machine, un sampler, una TT303, qualche pedale di effetti, un mixer ed un sintetizzatore che suono dall’inizio alla fine, una sorta di sequencer ‘umano’. Come synth dal vivo ho sempre usato finora un Ms20 , e per il nuovo set techno sto usando un Virus, che mi permette grandi possibilità di sound design. Il set up per il mio live con il pianoforte acustico è lo stesso ma al posto del synth c’è il piano, amplificato grazie a tecniche e microfoni speciali che permettono di ottenere un grande volume sonoro senza feedback e di processarlo negli effetti anche in situazioni estreme.
Puoi consigliarci due dischi di musica classica e due di musica elettronica tali da farci avvicinare al tuo mondo.
“La Sagra della Primavera” di Stravinsky, “Ma Mère l’Oye” di Ravel, “The Inheritor” di James Holden e “Why are you so frightened” di Stanislav Tolkachev.
Secondo te la tua musica riesce a unire gli amanti della club culture con quelli della musica classica e come si fa a far incontrare due mondi così differenti.
Anche se la mia musica è sicuramente più seguita dagli amanti del club che della classica , penso che possa far scoprire agli uni ed agli altri delle sonorità che non si aspettano, e quindi forse avvicinarsi, anche se indirettamente, a musiche che non hanno mai frequentato. Ad ogni modo non posso che incoraggiare gli ascoltatori alla curiosità ed a non barricarsi mai dietro le etichette dei generi musicali.
Leggi la recensione dell’album Shades of Blue QUI
Nato a Caserta nel 1989, innamorato folle della musica, dell’arte e del basket. Nel lontano 2003 viene letteralmente travolto dal suo primo concerto, quello dei Subsonica, che da quel giorno gli aprirono un mondo nuovo e un nuovo modo di concepire la musica.
Cresciuto col punk e la drum and bass, ama in maniera smoderata l’elettronica, il rock e il cantautorato. Fortemente attratto dal post-rock, dalla musica sperimentale e da quella neoclassica, non si preclude all’ascolto di altri generi definendosi un onnivoro musicale.
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