In Terapia di gruppo con i Funk Shui Project & Davide Shorty
È uscito il 21 settembre Terapia di gruppo, un album che vede insieme il collettivo Funk Shui Project e il rapper Davide Shorty. Undici tracce per raccontarsi agli altri, guidati dalla voce soul di Davide, inoltre il disco si avvale come ospiti delle voci dei rapper Tormento e Hyst, e della collaborazione di Godblesscomputers. Abbiamo colto l’occasione per farci raccontare il disco e non solo.
Funk Shui Project più Davide Shorty, un progetto ambizioso che lega le vostre storie, anche diverse, e le conduce su un’unica strada, una vera e propria ‘terapia di gruppo’. Come ha avuto inizio la vostra collaborazione?
All’uscita del primo album Funk Shui Project l’approccio é avvenuto online. Davide ci ha scritto per farci i complimenti e noi ci siamo documentati sul suo lavoro e abbiamo ricambiato di cuore ed espresso la volontà di collaborare. Di li a poco Davide sarebbe entrato ad X Factor, e non appena uscito non abbiamo perso tempo per vederci dal vivo. In The Loft (che poi ha prodotto una delle tracce contenute in Terapia di gruppo, dal titolo Questa stanza mi consola) é stato l’inizio. La chimica tra di noi era così forte che all’improvviso mentre eravamo in studio ci siamo guardati e ci siamo detti: “Raga ma facciamo un album intero!”.
Il nome dell’album è, appunto, Terapia di Gruppo. Data l’assenza di un pezzo omonimo all’interno del disco, le interpretazioni potrebbero essere svariate. Qual è quella giusta? Insomma, la genesi di questo titolo dove sta?
Premettendo che quando si tratta di musica o di arte in generale non c’é quasi mai un’interpretazione giusto, poiché quando il “prodotto” esce fuori dall’artista, ognuno può renderlo proprio nel modo in cui preferisce. Tuttavia il motivo del titolo per noi é chiarissimo: abbiamo letteralmente usato il processo di composizione e scrittura dell’album come una vera e propria terapia di gruppo. Ognuno di noi stava attraversando un momento difficile, e sentivamo il forte bisogno di sfogare le nostre paure, insicurezze, i nostri loop mentali, rabbia e frustrazione accumulata, insomma la nostra salute mentale e quegli aspetti della vita che di solito portano in terapia. L’argomento é parecchio stigmatizzato nel nostro paese, ma il bisogno era così forte che non ci siamo fatti troppi problemi nell’andare fino in fondo e scendere nell’intimità personale delle nostre vite. Quando abbiamo raggiunto uno scheletro di tracklist ed era il momento di scegliere un titolo, ci siamo resi conto che inconsapevolmente lo avevamo già trovato.
Quanto vi sentite integrati o quanto volete stare fuori dalla scena rap/hip hop italiana? Che familiarità avete con le nuove frontiere di genere, trap, elettronico pop e altro, che ne vengono fuori e che, attualmente, rappresentano una grande maggioranza sulla scena musicale italiana?
Ognuno di noi vive la scena hip hop in maniera diversa. Sicuramente stiamo fuori da ogni tipo di dramma o gossip, quel lato lì non ci interessa, probabilmente siamo stati educati ad avere troppo rispetto per la musica. Sicuramente Funk Shui Project é una band hip hop e Davide Shorty nasce come rapper prima ancora di essere un cantante.
Alla base dell’hip hop c’é uno spirito di contaminazione che troviamo di fondamentale importanza nel nostro percorso artistico.
Essere “puristi” non porta da nessuna parte, bisogna saper abbracciare le novità, e ci sono tanti giovani producer fortissimi nella nostra scena.
La trap ci coinvolge soprattutto nell’uso dell’808 o nel modo di rappare terzinato, é un mondo sonoro interessante, ma troppo spesso senza contenuti lirici di spessore, ed é un peccato perché visto la popolarità del genere, potrebbe servire come strumento di educazione. Prendi Kendrick in America, spesso rappa su quelle sonorità, ma si tiene molto lontano dalla banalità riuscendo ad essere comunque efficace per un pubblico più pop.
Per quanto riguarda l’aspetto elettronico pop, già la trap stessa può diventare elettronica pop, nel senso che é musica elettronica ed é popolare.
Ognuno di noi ha tante influenze, ascoltiamo veramente tanta musica e cerchiamo di buttare nel calderone quello che ci piace comunque mantenendo un equilibrio tra di noi.
Natty é uno che campiona tantissimo, ma é versatile abbastanza da usare i synth e le tastiere, lo stesso vale per Jeremy che é cresciuto a pane e Bootsy Collins ma che non disdegna un approccio al suono più moderno.
Descrivete il vostro lavoro come un album a più cuori, insicurezze, rabbia, amore in ognuno di noi. Parlare di emozioni, fortunatamente, non è ancora diventato impopolare?
Purtroppo si, la sensibilità nella nostra epoca é diventata impopolare, ma ciò non deve minare la libertà di espressione. Dare segni di debolezza, e addirittura di umanità ti rende un bersaglio facile e oggetto di giudizio.
Tristemente l’Italia é un paese tanto ignorante ed quel processo di appiattimento culturale che é stato innescato dall’avere la conoscenza a portata di mano é un mostro che va combattuto ogni giorno.
Ci vorrebbe educazione alla sensibilità nelle scuole, educazione alla salute mentale, educazione all’uso dei social e della tecnologia. Purtroppo invece viviamo in un paese dove ancora si parla ancora di razzismo, discriminazione, proibizionismo e xenofobia. Per forza la poesia va fuori moda se non ci sono i mezzi per comprenderla.
Guardandoci intorno sembra quasi che stiamo dimenticando come essere umani.
Per descrivere questo album avete sottolineato le sfumature soul della voce di Davide che, unite al rap e funk del collettivo, porta fino alla melodia dal sapore vintage alla Piero Umiliani. Questa grande ispirazione che portate dal passato, con cosa si scontra, se lo fa, attualmente? Chi vi ispira della scena musicale contemporanea?
L’album ha molteplici influenze. Vocalmente Davide si ispira molto al soul di mostri sacri come Marvin Gaye, e per il rap a Common o Mos Def. Strumentalmente al di la del sapore vintage Italiano di Umiliani ci sono i beat maker storici della scena hip hop internazionale, come J Dilla o Pete Rock.
Tra le influenze italiane sicuramente troviamo Pino Daniele, Napoli Centrale, ma anche Lucio Battisti o addirittura Luigi Tenco. Uno degli artisti che ci ha colpito ed accompagnato di più é Mac Miller, e la sua perdita a soli 26 anni ci addolora tantissimo.
É meraviglioso come la musica unisca un ragazzo di Pittsburg a dei ragazzi di Torino ed uno di Palermo facendoci sentire come se lo conoscessimo da una vita senza averlo mai incontrato.
L’ispirazione che ci ha regalato é stata tale da decidere di tributarlo nei nostri concerti con un momento dedicato interamente a lui.
Dopo due mesi di cammino insieme per l’album, come vi sentite? Come si sta rivelando l’impatto con un pubblico coeso che, seguace del collettivo o di Davide, si unisce nell’ascolto di Terapia di Gruppo? O meglio ancora chi è il pubblico di questa unione?
Bella domanda. Non abbiamo ancor una percezione chiara di cosa stia succedendo fuori. Quando stai sul palco e vedi qualche centinaio di persone che si diverte, sta bene e canta le tue canzoni la botta di energia é pazzesca. Il pubblico é molto eterogeneo, l’album può piacere al ragazzino di 14/15 anni come all’uomo di 30 o 40 anni, ed il fatto di poter abbattere determinate barriere generazionali ci rende molto felici e soddisfatti. Essere riusciti ad entrare nella quotidianità di completi sconosciuti é un gran privilegio, ma anche la responsabilità di continuare con la stessa sincerità con cui abbiamo iniziato.
Questo vostro viaggio funk cosa prospetta per il futuro?
Al momento ci stiamo godendo il tour, ma sicuramente questo é solo l’inizio della nostra collaborazione.
Stiamo già parlando di nuova musica insieme, mista ad altri progetti individuali di ognuno di noi. Una delle opzioni più accreditate é un potenziale EP reggae…ma chi lo sa, non vogliamo mettere nessun paletto.
Per adesso vi invitiamo tutti a vederci dal vivo e a bere qualcosa insieme dopo il concerto!
One love!
Il mio nome è Mary, sono nata nel 1990. La città da cui vengo è Sessa Aurunca, una collina tra Lazio e Campania; la città che ho scelto è Napoli, dove mi sono laureata in Scienze Politiche e dove scappo sempre, ogni volta che posso. Adoro cucinare e avere un bicchiere di vino in mano. Ho sempre scritto per amore, per me stessa, perché non conosco un altro modo per parlare di ciò che nella vita è importante, delle mie passioni, dei miei dolori. Molto semplicemente non conosco un altro modo per parlare della mia anima: ecco perché scrivo di musica.
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