Gianluca Gozzi: uno sguardo d’insieme su musica e festival, fra Torino e l’Europa
Il TOdays Festival 2021 si svolgerà dal 26 al 29 agosto a Torino e, dopo aver saltato l’edizione del 2020 a causa della pandemia, tornerà con tanti nomi importanti: dalla nuova scena inglese con black midi e Black Country, New Road fino agli artisti italiani del momento, come IOSONOUNCANE e Andrea Laszlo de Simone.
Abbiamo intervistato Gianluca Gozzi, direttore artistico del TOdays Festival, che ci ha parlato non solo delle idee alla base del festival, ma anche del suo punto di vista sulla musica a 360 gradi.
Leggendo la line-up del TOdays 2021, la prima cosa che spicca è la presenza di artisti giovanissimi. Immagino sia stata una selezione voluta, ma puoi spiegarci il motivo di questa scelta?
In realtà questo è l’anno in cui le scelte volute si sono dovute equilibrare con le scelte possibili. Viviamo in un anno particolare, con una pandemia in corso, quindi ci sono molte difficoltà che fanno sì che non necessariamente tutto quello che si vuole può essere anche fattibile.
Partendo da questo dato e guardandolo non come un limite ma come una possibilità, abbiamo cercato di costruire una narrazione ed una visione sulle scelte ancora più forte degli anni precedenti. Abbiamo dato uno sguardo non al presente ma al futuro, affidando questo messaggio ad artisti giovani non solo dal punto di vista anagrafico ma anche in chiave musicale.
Quindi anziché creare un cartellone come se nulla stesse succedendo nel mondo, abbiamo provato ad interpretare musicalmente ed attitudinalmente quello che capita: un festival non è andare a vedere ciò che ci piace, ma creare una tensione creativa ed emotiva.
In ogni giornata di festival c’è almeno un musicista italiano. Cosa ne pensi del panorama musicale del nostro Paese? Siamo ancora lontani dalle scene musicali estere o la forbice si sta restringendo?
Non credo ad una scena musicale italiana, ma in artisti d’eccellenza che trascendono le posizioni geografiche. Ad esempio Andrea Laszlo de Simone è un musicista torinese ma con un sound internazionale: lo trovi in classifica in Francia, suona in tanti festival importanti all’estero.
Quindi la forbice in questo caso non esiste, è un po’ come il discorso sui generi musicali: nel 2021 è inutile ormai fare una distinzione fra generi, esiste solo buona musica e cattiva musica, artisti bravi e artisti meno bravi.
Nella scelta del cartellone abbiamo quindi racchiuso musicisti italiani ma con sonorità particolari e con progetti importanti. Abbiamo affidato a Teho Teardo la direzione di un progetto esclusivo per TOdays che tratta il film La Jetee di Chris Marker: è un’opera dai temi attualissimi, come il distanziamento, l’isolamento. E Teho ha fatto un gran lavoro perché ha costruito un film nel film, presentando un lavoro internazionale.
Lo slogan del festival non lascia spazio a dubbi: “Bisogna ricominciare il viaggio”. Pensi che da questo momento in poi sarà possibile tornare ad ascoltare musica come prima?
In questo momento, come prima no, ma forse non è nemmeno quello l’obiettivo. TOdays non guarda al passato ma al presente e a ciò che verrà, quindi non pensiamo ad un modello di spettacolo dal vivo com’era prima, ma pensiamo che ci possa essere una trasformazione costruttiva che porterà ad un’esperienza diversa.
Attualmente un festival in totale libertà non è possibile in Italia, ci sono delle limitazioni che possono rappresentare un ostacolo, ma anziché lamentarci di quello che non c’è proviamo a costruire su quello che c’è, con l’aiuto di tutti, soprattutto degli artisti che sono costretti a suonare in contesti diversi da quelli ai quali sono abituati.
Il Primavera Sound ha annunciato che l’anno prossimo il festival si terrà su due weekend, con centinaia di artisti e dieci giorni complessivi di musica. Sarebbe possibile, in futuro, fare una cosa simile anche per il TOdays?
No, ma in generale per nessun festival in Italia. Siamo un popolo non abituato a quel tipo d’esperienza, esaltiamo tutto sui social ma nella concretezza siamo lontani da quel numero di pubblico.
Il Primavera mobilita un’intera città nell’accogliere persone che arrivano da ovunque, è un evento che è stato colto dall’amministrazione come un’opportunità sotto ogni punto di vista: culturale, sociale, economico, politico.
Qui invece siamo in un Paese che non riconosce i posti dove si fa musica come luoghi di cultura. In Italia ci sono le stesse normative per le balere, le discoteche e i circoli di periferia che fanno direzione artistica. C’è una fortissima confusione: la cultura italiana è in crisi da trent’anni e non dall’anno scorso.
Effettivamente il nostro pubblico non ha la cultura del festival e preferisce il concerto singolo, magari di una vecchia gloria, non aprendosi alle novità. Pensi sia possibile cambiare questa situazione? Se si, cosa serve per farlo?
Penso che grazie alla fatica e alla tenacia di tante persone sia possibile costruire delle piccole oasi ma sono abbastanza sfiduciato sulla possibilità di raggiungere livelli elevati.
In Italia quante persone ascoltano i Dry Cleaning e i black midi? Siamo in pochissimi, sono gruppi con una fanbase di appassionati.
Sarebbe anche importante iniziare a chiamare le cose con il nome adatto, così come fare delle distinzioni fra l’intrattenimento commerciale e ciò che invece è cultura. Nel primo caso si tratta di qualcosa di costruito a priori, un evento che ha come unica finalità il guadagno commerciale, mentre fare un evento culturale vuol dire fare formazione: andare ad un festival, al cinema, al teatro, scoprire band nuove è come una palestra per adulti. Si formano le persone, le idee, il pubblico.
Dalle varie edizioni dei festival si evince quanto sono variegati i tuoi gusti musicali. Cosa stai ascoltando ultimamente? E quale degli artisti presenti in scaletta di senti di consigliare?
Quando si prepara un festival è necessario lasciare un po’ da parte i gusti, perché si crea un evento per tutti, abbattendo i generi musicali e la tipologia di pubblico. A me interessa che un ragazzo che ascolta Calcutta possa rimanere folgorato dai black midi e viceversa.
Quindi nella creazione del cartellone cerco di dare non solo un senso logico ma anche di poter interessare il più ampio pubblico possibile, in modo tale da potersi confrontare. Perciò mi sento di consigliare semplicemente ciò che non si conosce: lasciarsi prendere dai gruppi con sonorità che non conosciamo.
Se dovessi dirti su cosa vorrei un po’ d’attenzione maggiore, citerei il progetto di Teho Teardo di cui ho parlato precedentemente, essendo qualcosa di molto contemporaneo, e sulla componente femminile all’interno del festival, come il collettivo Les Amazones d’Afrique, che portano avanti tematiche molto importanti sul sessismo e sulla condizione delle donne in Africa.
Classe ’99, laureato in Lettere moderne e alla magistrale di Filologia moderna alla Federico II di Napoli.
La musica e il cinema le passioni di una vita, dalla nascita interista per passione e sofferenza.
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