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Dreamland: l’inesorabile caduta dei Glass Animals

Nome di spicco della nuova generazione indietronica del decennio appena terminato, la carriera dei Glass Animals forse non è stata, almeno fino al momento, all’altezza delle aspettative. Il debutto, ZABA (2014) aveva messo in mostra le caratteristiche migliori del gruppo inglese, in grado di miscelare sapientemente indietronica e downtempo, e pareva a tutti gli effetti una solida base da cui poter partire.

In quest’ottica, How to Be a Human Being (2016) è stata una mezza delusione: il downtempo lasciava spazio all’art pop, e l’intero album risultava più scarno e meno ricco di idee del precedente.

Oggi, Dreamland, in uscita il 7 agosto 2020 per Republic Records gioca una partita importante nel futuro dei Glass Animals, e, sin dal primo ascolto, mette in mostra un sound ancora mutato, orientato verso sonorità legate all’R&B alternativo.

L’album nasce come uno spaccato sulla crescita ed in generale sulla vita, ripercorsa fra alti e bassi nei ricordi del frontman Dave Bayley. Una sorta di diario colmo di reminiscenze e reperti mnemonici, che indagano sulla vita di un uomo.

In apertura, la title-track vive di atmosfere sognanti e rarefatte, su cui si erge un indie pop dai connotati anche fin troppo prevedibili, così come l’innocua incursione R&B di Tangerine. In netta ripresa la seguente Hot Sugar, dalle tinte raffinate e delicate, un tocco di classe evidente e quasi inaspettato.

Il singolo Tokyo Drifting in feat con Denzel Curry strizza inevitabilmente l’occhio alla trap, per la verità in una già sentita unione con l’R&B, ma il pezzo vive di momenti di luce proprio grazie alla presenza del sempre ottimo Curry a fine brano.

Pochi gli spunti davvero interessanti anche nella parte finale dell’album: da menzionare la godibile Heat Waves e il riff dreamy di Helium.

Se Dreamland doveva essere in qualche modo l’album della rinascita dei Glass Animals, quello che ottiene è in realtà l’effetto contrario. L’impressione finale è quella di un album che mette insieme sonorità facili e risentite, senza mai osare veramente, dove anche i (pochi) pezzi migliori sono messi in ombra da tutto il resto.




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