Rifugiarsi nella musica dei Good Moaning
I Good Moaning sono una giovane formazione barese attiva composta da Edoardo Partipilo, (voce, chitarre), Lorenzo Gentile, (chitarra elettrica, basso), Davide Fumai (tastiera, batteria), ai quali si è aggiunto Marco Menchise (basso). Dopo il promettente Ep del 2017 Hello, Parasites, lo scorso 22 febbraio hanno pubblicato il disco d’esordio, The Roost, descritto dalla band come “musica sussurrata per non disturbare il respiro pesante del mostro nell’armadio”.
The Roost è il vostro album di esordio uscito il 22 Febbraio. Dando un ascolto al disco, mi ha incuriosito il titolo e mi sono documentata sul significato letterale. In pratica è un posto dove gli uccelli possono riposare. Quindi l’album è da intendersi come una sorta di ristoro temporaneo per poi ripartire verso il proprio viaggio?
In inglese la parola ”roost ” ha più significati, il senso che volevamo dargli noi è proprio quello di ”rifugio” o comunque ”luogo di riposo”, un posto dove vivere alla macchia e nascondersi dal mondo. Ma questo rinchiudersi non porta ad una condizione di totale sollievo e, al contrario, anche il mondo esterno non offre soluzioni migliori. Quindi si rimane sospesi, a mezz’aria, in una specie di limbo, in uno stato di nebbia.
Good Moaning sappiamo tutti essere un gioco di parole. Ma può anche alludere al sesso mattutino. Per quale motivo l’avete scelto e a questo punto, che dischi mettereste durante il sesso mattutino?
Il significato principale che volevamo dargli era ”Buon lamento”. In generale ci sono sempre piaciuti i giochi di parole, poi quando abbiamo scoperto che poteva voler dire anche sesso mattutino, allora non abbiamo avuto più dubbi. Sicuramente la discografia dei C’mon Tigre si presta molto alla situazione, insieme a quella di Infinite Bisous, e perché no, anche quella di Connan Mockasin.
L’uscita dell’album è stata anticipata da Suitcase, a mio avviso è un po’ l’essenza che racchiude tutto l’album: musica sussurrata per poi aprirsi in esplosioni liberatorie. Qual è il messaggio che volete far arrivare al pubblico?
Non c’è un vero e proprio messaggio, ma più che altro una volontà di comunicare un certo tipo sensazioni ed atmosfere. Il disco non è un concept nel vero senso della parola, non c’è un storia vera e propria. Probabilmente Il filo conduttore di tutti i pezzi è quello di non sentirsi completamente parte del mondo a causa del conflitto tra quello che si è (o si crede di essere) e quello che bisogna fingere di essere.
Musica sussurrata per non disturbare il respiro pesante del mostro nell’armadio… Come lo raffigurate questo mostro e nel caso in cui si svegliasse cosa potrebbe succedere?
La frase in questione è di un nostro amico che ha provato a dare un’immagine al tipo di musica che facciamo, e secondo noi è super azzeccata. La cosa più terrificante è che certi mostri non hanno una vera e propria forma, ma si nascondono nella testa di ognuno di noi e, di conseguenza, cambiano da persona a persona e gli effetti del suo risveglio possono essere negativi ma anche positivi. E’ una circostanza molto personale.
Il vostro sound è molto psichedelico e intriso di atmosfere sognanti. Quali sono le vostre influenze?
Veniamo tutti quanti da ascolti molto diversi, ma che allo stesso tempo si incontrano a metà strada. Dai classici come i King Crimson o i Beatles, fino a cose molto più vicine a noi, tipo Sparklehorse o i Grizzly Bear. Ma anche Steven Wilson o i Verdena. Abbiamo avuto una fase di scrittura, ma anche di recording, molto lunga, quindi gli ascolti cambiavano di continuo.
Mi ha colpito molto l’artwork. stato davvero la ciliegina sulla torta per questo lavoro essenziale e sopraffino. A cosa è dovuta la scelta di una tavola di Heinrich Bojanus?
Ci siamo imbattuti in quella illustrazione un po’ per caso. Sapevamo di volere un’immagine semplice, diretta ma anche rarefatta, e che esprimesse un certo tipo di “vecchiume”, se così si può dire. Facendo un po’ di ricerche fra archivi di vecchie enciclopedie abbiamo trovato questa tartaruga che esprimeva appieno la nostra idea di rifugio, poi il resto è venuto da se.
Leggi la recensione dell’album The Roost QUI
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