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Afro Blue: un tuffo nella scena free jazz svedese

Oggi Mats Gustafsson è un’istituzione del jazz svedese ed europeo, forte della sua lunga esperienza nel settore e dei suoi innumerevoli progetti, uno su tutti il trio Fire!, allargatosi poi anche nella straordinaria versione ensemble Fire! Orchestra.

E quando si parla di musicisti affermati, è sempre interessante provare a riavvolgere il nastro ed osservarli da vicino in periodi della loro vita, personale ma soprattutto musicale, ben diversi. Un’operazione di questo tipo è possibile grazie ad Afro Blue, in uscita il 19 gennaio 2024 per Trost Records, un live registrato nel dicembre del 1998 al Fasching di Stoccolma. Il progetto in questione è quello del trio Gush, nato dieci anni prima con la volontà di sperimentare sulla drone music, ma finito per essere una piccola gemma del free jazz europeo degli anni ’90.

Gustafsson, qui al sax alto e tenore, assieme a Sten Sandell (piano) e Raymond Strid (batteria), mette in mostra in questo live ritrovato tutta la carica performativa dei Gush, che in quattro brani per oltre un’ora di musica riescono a offrire un quadro abbastanza fedele della loro proposta: c’è sicuramente una costante tensione verso l’improvvisazione, una natura free a tratti inscalfibile, ma c’è anche e soprattutto una fascinazione doverosa per il maestro John Coltrane, saccheggiato nella sua più tarda produzione. E sotto quest’ultimo aspetto, il titolo è abbastanza esplicito; Afro Blue è uno standard jazz composto da Mongo Santamaria nel 1959, ma è stata proprio la versione di Coltrane a restare impressa nella storia del jazz, soprattutto nella sua resa dal vivo, dato che è presente in molti dei suoi più importanti dischi live, fra cui il celebre Live at Birdland (1963).

Alla luce di quanto appena scritto, non è certamente una sorpresa trovare in chiusura di disco (ad eccezione di una breve improvvisazione finale) proprio un’interpretazione dei Gush di Afro Blue. Ma prima di arrivarci, è necessario focalizzare l’attenzione sulla lunga suite, divisa in due parti, di Behind the Chords (V e VI). La prima sezione mette in mostra tutta la maestria di un’improvvisazione “controllata” di matrice free jazz classica: i tre musicisti dialogano fra loro, si lanciano in assoli coraggiosi (oltre ai vari soli di sax, da citare quello di Strid alle percussioni a circa metà brano) e riescono nel compito, mai banale, di dare una struttura coerente ad una forma sonora che ad un ascolto distratto sembrerebbe esserne priva; la seconda parte continua il discorso precedente, ma è il piano di Sandell, ideatore del doppio brano, a risultare maggiormente in evidenza, cadenzando ed esaltando anche gli altri strumenti. Infine, Afro Blue è esattamente come potete immaginarla: la classe, l’eleganza e il trasporto della versione di Coltrane restano dei fari da seguire, ma la proposta allungata dei Gush inserisce inevitabilmente fra le sue pieghe una dimensione europea, che conferisce un necessario tocco di personalità.

Non è certamente un disco imperdibile o il live della vita, ma Afro Blue ha un valore storico sicuramente interessante. Innanzitutto, celebra i 36 anni di attività di un progetto fondamentale per il free jazz svedese. Ma è anche un documento di una stagione musicale lontana ma mai sopita, di cui i Gush sono stati fra i protagonisti indiscussi.



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