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Herself: uno stile unico e coerente

Herself aka Gioele Valenti, è un polistrumentista palermitano attivo nella scena neopsichedelica, definito, fin dagli esordi, come l’incontro italiano tra Sparklehorse e i Mercury Rev. Avendo una carriera già abbastanza fruttuosa alle spalle, si era già avventurato nel percorrere i sentieri della musica folk e, con il suo nuovo disco Rigel Playground, invita gli ascoltatori proprio su quei percorsi cosmici in cui gli inglesismi della tradizione si trasformano in “alternative”.

Nell’album spicca la presenza di un ospite d’onore tra i più influenti per la creatività di Herself: si può ascoltare Jonathan Donahue dei già citati Mercury Rev nel brano The Beast Of Love. L’album è un lavoro di indie rock elettro-acustico, ipnotico e favolistico creato con un’idea molto precisa, mirando a raggiungere i gusti più anglosassoni; è un record più di atmosfere che di canzoni e alla fine si resta affascinati dal mood di disco in bilico tra fragilità e rimandi agli anni Novanta. L’estetica dell’ennesimo lavoro ben riuscito di Gioele Valenti non incontrerà troppi oppositori tra i fan dell’alt-folk grazie al suo suono metà allucinogeno, metà vagabondo un po’ alla Nick Drake o alla Sufjan Stevens.

Le liriche trasudano una rabbia tipica del vecchio punk consumato, ma passano in secondo piano al cospetto di suoni pizzicati a quattro mani (o a due ugole). Il disco è corposo nonostante si abbia la sensazione che le  canzoni siano state dapprima scritte di getto, senza un piano complessivo, per poi essere riordinate in un ordine psichedelico e oscuro e in alta definizione. Si può dire che Valenti abbia saputo sintetizzare nel suo stile le più disparate influenze riconoscibili nel suo fare musica in uno stile suo e senza dubbio coerente. Rigel Playground, registrato e mixato tra Palermo e Seattle e poi martirizzato a Londra da Jack McKenna, è il proseguimento di una narrazione ambientata nei vasti spazi americani.

Passando ai brani, in Bark abbiamo uno dei migliori ritornelli, immerso in uno strato di malinconia non troppo esaltato e fraseggi di chitarra sia acustica che elettrica. In Crawling troviamo uno stile più classic rock, un brano dei Wilco passato al rallentatore, per arrivare all’immancabile pezzo di ambientazione western, tipico ma non scontato, con Another Christian, reso evocativo grazie a synth e archi. Ma il polistrumentista italiano non ha mai avuto bisogno di molti artifici per soddisfare il suo pubblico, e questi 33 minuti di musica scivolano via in un attimo con l’intensità di scenari di un autunno inoltrato.




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