Amaury Cambuzat si veste di nero
Nuova svolta nel percorso artistico di Amaury Cambuzat, già leader degli Ulan Bator e chitarrista dei faUSt, che si ripresenta sulle scene con un progetto strumentale, solista nel senso più assoluto del termine, in cui l’evocativo moniker I Feel Like A Bombed Cathedral viene accompagnato da un canale Youtube nel quale Cambuzat, incappucciato e con un’incolta barba canuta, presenta le sue sessions, interamente improvvisate in presa diretta nel proprio studio, ribattezzato per l’appunto The Cathedral, ed eseguite col solo ausilio della chitarra elettrica e di alcuni strumenti elettronici. Culmine e sintesi del progetto è questo primo album, intitolato Rec.Requiem e prodotto dalla toscana Dio Drone.
Come le premesse lasciano intuire e come si può evincere dal titolo del disco, oltre che dall’artwork realizzato da Coito Negato, si tratta di un lavoro dalle atmosfere cupe e dal forte carattere mistico e arcano.
L’album, come tutte le live sessions, è interamente registrato in presa diretta ma, nonostante l’impulsività che questo comporta, appare come un concept estremamente ragionato che, da un lato evoca una sorta di rituale sacro in quattro atti, dai titoli ermetici e criptici, mentre dall’altro potrebbe essere una perfetta autobiografia di Cambuzat, che ripercorre le tappe essenziali del suo cammino, sempre fuori da binari lineari e lungo strade tortuose fatte di rumore e dissonanze, ma anche di lunghi momenti meditativi.
Il rituale si apre con il primo atto, denominato Def, in cui l’atmosfera è subito tesa, senza preamboli, ed il tempo è scandito da loop costanti e ricchi di basse frequenze, che ci introducono nel cuore della Cattedrale decadente. Nel secondo atto Esh le sonorità virano verso il noise/industrial e la somma dei loop di chitarra si fa molto presto magma sonoro da cui l’ascoltatore viene travolto e inondato per tutti i 10 minuti della sua durata.
La terza traccia Req è forse quella compositivamente più complessa, il tempo torna ad essere costante e cadenzato, ma attorno ai cupi rintocchi che lo scandiscono si avviluppa come un rampicante una fitta rete di arpeggi dissonanti e devianti di chitarra, che vanno via via a riempirsi in un costante crescendo di tensione emotiva. Chiude il rito l’ultimo atto Rev, un’improvvisa apertura che sa di ricerca della redenzione e della pace dei sensi e nella quale le atmosfere tese dei primi tre movimenti diventano di colpo più rilassate e lasciano respirare l’ascoltatore, conducendolo in un mood più meditativo. Anche in questa traccia non mancano tuttavia i momenti dissonanti e la sua stessa chiusura netta lascia aperta ogni possibile chiave di lettura.
Un album che dunque, più che un lavoro discografico in senso stretto, appare come lo specchio di un percorso interiore che Amaury Cambuzat intende ricostruire ed esternare in quella che immaginiamo possa essere una performance live, durante la quale l’artista introdurrà il pubblico all’interno della propria personale Cattedrale bombardata, in cui verrà celebrato un autentico rituale sonoro.
Classe ’82, batterista e smanettatore di synth, attratto da tutto ciò che è ricerca e scoperta, con una particolare propensione per la musica con contaminazioni elettriche ed elettroniche, le città e i festival europei.
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