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Terzo: dieci anni dopo, il marinaio sogna ancora

I progetti “collaterali” hanno una vita spesso frastagliata e spezzettata: nascono, a volte crescono, più spesso muoiono nel nulla. O magari, come nel caso de Il Sogno del Marinaio, spariscono per dieci anni e poi ritornano, come se non fosse cambiato nulla, come se questa lunga attesa fosse nella logica delle cose.

Una pausa probabilmente dovuta anche al fatto che i componenti del trio sono notoriamente legati a numerosi gruppi e collaborazioni: il batterista Paolo Mongardi lo abbiamo recentemente trovato nei debuttanti Traum, ma ha un passato (e un presente) che comprende Fuzz Orchestra, Zeus e Fulkanelli, così come Stefano Pilia e Mike Watt, in un certo senso equivalenti nei rispettivi ambiti; se il chitarrista italiano ci ha abituati ad un’attività costante, divisa fra i lavori solisti di stampo sperimentale e le più disparate collaborazioni (tra cui Afterhours e Massimo Volume), il bassista statunitense rappresenta il suo alter ego nel mondo dell’hardcore punk: fondatore degli storici Minutemen, ma anche di Firehose e Dos, ha messo mano praticamente ovunque, compresa un’attività pluridecennale con gli Stooges.

Terzo, in uscita il 3 maggio 2024 per Improved Sequence, riprende il discorso che il trio aveva interrotto dieci anni fa con Canto Secondo, che aveva mostrato, in coppia col debutto La Busta Gialla (2013), quanto è lecito aspettarsi dai tre musicisti coinvolti: rock sperimentale che rifugge confini ed etichette stabilite, spaziando fra frenesie math rock, costruzioni post-rock e riferimenti jazz.

Il nuovo disco, che vanta la presenza di Ramon Moro alla tromba e Petra Haden alla voce, appare sin da un primo ascolto come la naturale conseguenza dei dieci anni trascorsi. Il sound non cambia e resta legato a quello dei primi due dischi, ma è tangibile il segno del tempo, con creazioni sonore probabilmente ancora più stratificate e complesse. Sarebbe scorretto utilizzare il termine “maturità” per un trio che già dieci anni fa era pienamente maturo e consapevole dei propri mezzi, eppure ascoltando Song for Anima Mundi in apertura è immediatamente percepibile un’evoluzione che ben raggruppa la proposta descritta: Watt declama versi su un tappeto musicale che spazia da riff taglienti a ritmiche hardcore, mentre nel finale una coda strumentale di stampo vagamente fusion mette in mostra un brano eclettico e free form.

Gli altri sette brani seguono, almeno concettualmente, la natura del primo, proponendo però diverse novità. Così, Max Roach 8 Ball cambia completamente in corso d’opera, trasformando quello che sembra un “classico” pezzo post-punk in una cavalcata a metà fra post-rock ed echi kraut, mentre la lunga Grabbing Me By My Own Air riesce nell’impresa di racchiudere tutte le influenze citate in una forma più che coerente.

Terzo riprende un discorso interrotto nel tempo, ma piazzandosi sull’ottima scia qualitativa dei due predecessori. Il ritorno de Il Sogno del Marinaio colpisce proprio per questa duplice natura, capace tanto di conservare quanto di buono proposto dieci anni fa e, allo stesso tempo, di mostrare una netta evoluzione temporale.



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