Light Verse: maturità e gioia secondo Iron & Wine
Fatta eccezione per Years to Burn (2019) in collaborazione con i Calexico, è dal 2017, con Beast Epic, che Sam Beam non pubblica un nuovo album a nome Iron & Wine. Una novità assoluta, dato che ci ha abituato a pubblicazioni piuttosto cadenzate (circa ogni due o tre anni), mentre il nuovo Light Verse, in uscita il 26 aprile 2024 per Sub Pop, arriva dopo una lunga e inedita pausa.
A scanso di equivoci, possiamo subito far presente che quest’attesa non corrisponde ad un cambio dello stile, ormai ben noto e riconoscibile, del cantautore; il territorio su cui si muove è sempre quello di un folk pulito ed elegante, semplice ma anche capace di stratificarsi. In sintesi, quel connubio tra indie folk e tradizione americana che in tantissimi hanno cercato di copiare negli ultimi 15 anni.
Semmai, una novità riscontrabile rispetto al passato riguarda i testi, permeati ancora da esperienze di vita personale e personaggi che sembrano usciti fuori da romanzi, ma in questo caso c’è una maggiore attenzione verso una maturità che non significa necessariamente pesantezza o rassegnazione, quanto la capacità di non prendersi troppo sul serio nei momenti della vita.
Un altro disco figlio della pandemia, insomma, ma nato dalle riflessioni dopo quel periodo e non è un caso che la press release descriva l’album come “il più giocoso” di Iron & Wine ma allo stesso tempo anche quello in cui l’accettazione sembra essere il filo conduttore tra i dieci brani proposti.
Ed effettivamente basta la doppietta iniziale, You Never Know / Anyone’s Game, per rendersene conto: si respira una serenità trascinante, archi, chitarra acustica ed uno stile che ha fatto scuola catapultano l’ascoltatore in una comfort zone da concerto in un piccolo locale soffuso.
Ma la principale innovazione, se di innovazione si può parlare, sta anche nel fatto che in quest’occasione Beam sembra lasciare fuori le derive malinconiche delle precedenti uscite in favore di un approccio che, anche musicalmente, abbraccia una gioia che va oltre i paesaggi bucolici. A contare non è l’atmosfera, quanto una visione esistenziale espressa magistralmente in All in Good Time, in coppia con la sempre perfetta Fiona Apple, che è a mani basse il momento più alto dell’intero disco.
C’è spazio nella seconda parte del disco per qualche highlights degno di nota: Sweet Talk è uno dei pezzi più belli firmati da Iron & Wine, così come Tears that Don’t Matter, ennesima dimostrazione che non c’è posto solo per il folk scarno ed essenziale, ma anche tanta ricerca nelle parti strumentali.
Light Verse non innova né probabilmente sposta qualcosa nella discografia di Iron & Wine, ed è giusto che sia così: Sam Beam ci ha pensato vent’anni fa a fare scuola nel mondo dell’indie folk, adesso ad arrivare, oltre le canzoni, deve essere un approccio di vita che il disco trasmette sin dal primo ascolto. Ad avercene.
Classe ’99, laureato in Lettere moderne e alla magistrale di Filologia moderna alla Federico II di Napoli.
La musica e il cinema le passioni di una vita, dalla nascita interista per passione e sofferenza.
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