Pyramid: i Jaga Jazzist fra alti e bassi
Band di punta fra i gruppi che negli ultimi 25 anni hanno abbracciato un compromesso musicale fra nu jazz e post-rock, i norvegesi Jaga Jazzist conducono un percorso di crescita che dura da più di vent’anni, e che li ha portati alla ribalta con lavori come What We Must (2005) e One-Armed Bandit (2010).
La formula, ormai ben collaudata, segna una nuova tappa con Pyramid, in uscita il 7 agosto 2020 per Brainfeeder. A differenza dei lavori precedenti, il disco è stato registrato in sole due settimane in uno studio nei boschi svedesi, con delle sessioni da 12 ore al giorno, portando strenuamente avanti la volontà di dare vita ad un album in grado di tenere fede a quelle che erano le idee iniziali del gruppo.
Quattro lunghi brani condensano il proposito del gruppo, ed ognuno di essi mette in mostra le caratteristiche essenziali del sound che da sempre contraddistingue i Jaga Jazzist.
In apertura, Tomita, chiaro omaggio al compositore giapponese Isao Tomita, non può che essere influenzata da forti elementi di elettronica, nella sua accezione più prog possibile. A questo proposito salta nettamente in evidenza la forte influenza di synth ed elettronica nell’intero album, che assume quasi il ruolo di collante fra jazz e post-rock.
E Tomita rappresenta sicuramente il punto più alto di questa fusione di generi, oltre ad essere il brano migliore in assoluto: l’equilibrio raggiunto nei quasi 14 minuti è perfetto, e il sali-scendi musicale regge senza affanni fra lunghe cavalcate nu jazz e momenti puramente riflessivi.
Il singolo Spiral Era perde l’imprevedibilità del brano precedente, rimanendo ancorato ad uno stile più “classico” per le sonorità del gruppo, fermo in un semi-climax post-rock, che in realtà decolla con il freno a mano.
In netta ripresa The Shrine, in grado di destreggiarsi fra efficaci ma contenute percussioni ed un interessante crescendo di synth, mentre Apex, in chiusura, dona all’intero lavoro un tocco di epicità in salsa synth-funk.
Pyramid vive di alti e bassi, nonostante la forte idea di base che sta dietro alla sua creazione. I Jaga Jazzist danno vita ad un album con diversi spunti interessanti, complice la formula di uno stile che funziona ed un sound ormai caratteristico, anche se spesso troppo fermo nella sua proposta.
Complessivamente, un lavoro sicuramente positivo, ma lontano dai fasti raggiunti nei dischi precedenti.
Classe ’99, laureato in Lettere moderne e alla magistrale di Filologia moderna alla Federico II di Napoli.
La musica e il cinema le passioni di una vita, dalla nascita interista per passione e sofferenza.
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