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Joachim Spieth offre una nuova prospettiva sui paesaggi sonori ambientali

Abbiamo parlato spesso di Joachim Spieth e della sua musica ben progettata, un mix di elettronica, ambient e deep techno contenente morbidi pad eterei e fluide atmosfere che si fondono per creare freddi e complessi paesaggi sonori.

Retrace, il suo nuovo album pubblicato tramite Affin, offre una nuova prospettiva sui paesaggi sonori ambientali, pur mantenendo gli elementi caratteristici che hanno definito l’identità musicale del produttore tedesco.

Retrace è composto da sette tracce dalle trame dettagliate e dalle melodie cristallizzate che si muovono lentamente catturando l’immaginazione dell’ascoltatore. Come gocce d’acqua scintillanti, gli elementi delle trame si combinano per generare un fragile biosistema sonoro che si estende per tutto lo spettro sonoro.

Non ha senso andare ad analizzare singolarmente ogni traccia in quanto le composizioni di Spieth vanno considerate come diversi capitoli di un unico flusso sonoro, una narrazione che ha un potere emotivo quasi soprannaturale, in grado di evocare un senso di permanenza e infinità.

In Retrace veniamo immersi da sottili tocchi di riverberi e modulazioni, le sue melodie servono a mettere in risalto i contorni di ogni traccia senza mai dominarli completamente. Avvolte in una fitta nebbia, ogni produzione è legata a una linea di basso tremante o a un ritmo barcollante, con suoni che sembrano anestetizzare il tempo stesso, tra barricate di droni e forme sonore destrutturate che evocano continuamente intensi stati meditativi.

È con i beat dub in alternanza sfalsati e sensuali che Spieth offre i primi momenti minacciosi nell’album, creando una foschia di suoni rarefatti, presagio di risvolti sonori psicotropi.

Retrace si muove con precisione meticolosa, conducendo gli ascoltatori attraverso un labirinto di possibilità sonore in cui ogni suono e struttura ha uno scopo nella narrazione. Le sue tracce infatti non sarebbero affatto facili da estrarre dal loro habitat naturale: se ascoltate singolarmente si perde completamente il filo della narrazione.



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