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No era sòlida: al di là del mondo reale

Che la musica e l’arte siano da sempre veicolo personale e sociale è cosa nota e risaputa, ma oggi, forse, nelle condizioni in cui si trova l’intera umanità è un atto ancor più dovuto e necessario.

L’essere umano si trova perennemente avvolto in un instabile stato ansiogeno di incertezza, dove tutto pare crollare da un momento all’altro, scardinando le sicurezze acquisite nel corso dei secoli.

E fra i musicisti che hanno bisogno di rifugiarsi, ancora una volta, nella propria arte, c’è anche Lucrecia Dalt, espressione di un art pop fortemente avanguardistico e sui generis, come testimoniano le sue incursioni nell’elettronica, nell’ambient e nell’elettroacustica.

L’artista colombiana si proietta in una nuova immagine di sé stessa, rappresentata dalla figura di “Lia”, per riuscire a raccontare il mondo reale, devastato dalle politiche neoliberiste del suo Paese e in preda ad una serie interminabile di problemi, e quello dell’extra-terreno, una sorta di dimensione che va oltre la concezione dei sensi e della realtà stessa.

No era sòlida, in uscita l’11 settembre 2020 per RVNG Intl., racchiude tutto questo, e lo fa attraverso un tracciato sonoro ancora una volta estremamente eclettico.

Per rintracciare la vena mistica e spiritica dell’album basta aspettare pochi secondi, quando, in apertura, la litania di Disuelta fa da tappeto per la voce posseduta della Dalt. Sin da subito la dimensione mistica pervade il sound dell’album, che poi man mano si evolve ora in dissonanze mascherate da flebili trame vocali come in Ser Boca, ora in oscure frequenze strumentali come in Di.

Rimarrà deluso chi cerca disperatamente un’apertura ariosa nei brani successivi, che anzi si incupiscono maggiormente prima nell’ambient dal sapore industriale di Revuelta, poi nel climax della title-track finale, apice dell’album: in nove minuti abbondanti la Nostra si destreggia fra spoken word, melodie sotterranee, echi e riverberi di pura avanguardia.

Complessivamente, No era sòlida riesce sicuramente nell’intento di ricreare il concept di base, e l’ascolto rimane costante e coerente in un’atmosfera pregna di momenti ansiogeni e ricchi di pathos drammatico.

Manca, invece, qualche brano che spicca sugli altri, conferendo così al lavoro di Lucrecia Dalt una compattezza strutturale che ne è anche il difetto principale.

Non il suo album migliore, ma di certo una testimonianza importante e riuscita.




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