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Einaudi, il maestro della classica contemporanea torna sulla scena narrando una settimana in cammino

Chi è che non conosce il maestro, compositore contemporaneo, figlio della storia più lungimirante della nostra Nazione, da Einaudi editore, suo padre, ed Einaudi presidente della Repubblica di cui lo stesso è nipote, un cognome un programma, dalla letteratura, alla politica fino alla musica classica, tassello fondamentale della cultura italiana nel mondo.

Dagli inizi negli ’80 con il jazz rock fino alla composizione di colonne sonore, Einaudi è sempre stato un musicista di largo respiro, da far proprio seppur non propriamente sulla cresta dell’onda del mainstream ma tutt’altro che nella nicchia del più antiquato radical chic. La sua biografia è costellata da una miriade di album, di composizioni per musica da camera e per orchesta, per il teatro e la danza, ed ovviamente, per la cinematografia, tra le quali spiccano i famosi film Aprile di Nanni Moretti, Fame Chimica di Vari, Quasi amici nel 2011 di Olivier Nakache e Éric Toledano.

Fatte le dovute e rispettose premesse, è tempo di immergerci nell’attualità del 2019: il 15 marzo infatti Ludovico, dopo quattro anni da Elements (2015), ha pubblicato Seven Days Walking (Day 1) per Decca Records, 11 brani condensati in 51 minuti di composizione eclettica ed emozionale, con la collaborazione di Federico Mecozzi, violinista, polistrumentista e tra l’altro, il più giovane direttore d’Orchestra visto quest’anno sul palco del Festival di Sanremo, e Redi Hasa,  il violoncello più creativo nell’area della musica adriatica.

Una settimana in cammino, e tutto comincia dal Giorno 1! Come è sensazionale ascoltare e scrivere di questo disco proprio di lunedì, dopo un weekend di pausa dallo stress quotidiano ed una riconciliazione con se stessi.

Un camminare, ma anche un domandare, mentre la mente viene intasata da dubbi e prospettive controverse, tra arpeggi di piano delicati e silenziosi, fra il malinconico e il sognante, un disco per ricostruire un panorama vacillante ma al contempo deciso, tra farfalle dorate (golden butterflies) che costeggiano uno sfondo naturale e planimetrie geometriche (A sense of symmetry).

Spazio anche al grave, non soltanto al baccello dolciastro in maggiore modulato, come in The Path Of The Fossils, rimuginante e che fa accavallare tasti in combinato con gli archi, una traccia superiore, sicuramente da poter utilizzare senza alcun dubbio in una scena toccante di un film.

Nel disco c’è un ripercuotersi di una medesima variazione in tre versioni: Low Mist, che apre il disco ma ciclicamente lo chiude, come in un vero e proprio concept album narrante, il tutto senza aver bisogno di parole. Spazio alla musica, con pienezza.




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