Marco Cocci si racconta in 13 passi
L’attore e cantautore toscano Marco Cocci, già leader e frontman dei Malfunk, dopo anni di silenzio, si ripresenta sulle scene musicali con un disco solista pubblicato in proprio che, come lo stesso Cocci racconta sui suoi canali social, è in realtà una raccolta di canzoni scritte in diversi momenti negli ultimi 5 anni e mai realmente pensate come parti di un unico concept.
La scrittura di Cocci è molto diretta e personale e racconta in 13 passi (Steps è appunto il titolo dell’album) le proprie recenti esperienze di vita e il conseguente bagaglio emozionale. Lo fa attraverso una una produzione curata da Christopher Bacco tra lo Studio 2 di Padova e gli Abbey Road Studios di Londra e con l’ausilio di un impressionante team di musicisti che vanno a comporre una line-up differente in ogni brano e tra i quali si annoverano, tra gli altri, artisti del calibro di Federico Poggipollini, Roberto Dell’Era, Lino Gitto, Roberto Angelini. Vincenzo Vasi e Bobby Solo.
Ne consegue un disco fatto di canzoni semplici, che non ambiscono a fare rivoluzioni ma a raccontare le proprie emozioni ed esperienze nella maniera più diretta possibile, impreziosite tuttavia da arrangiamenti ricchi ed eterogenei e da una produzione estremamente curata.
La voce di Marco Cocci richiama ancora al grunge e al rock più nineties e, accompagnata da un songwriting di matrice folk, rimanda in più occasioni all’Eddie Vedder solista. Echi psichedelici fanno capolino di tanto in tanto grazie soprattutto alle incursioni strumentali come quella del theremin di Vincenzo Vasi in While Everyone, dei rhodes di Lino Gitto e della chitarra slide di Roberto Angelini in As The Sun o dell’harmonium di Stefano Civetta in Disappeared, brano che strizza sorprendentemente l’occhio agli A Toys Orchestra.
Good Day subisce fortemente il fascino della vena d’oro del brit-pop anni ’90-2000, mentre Love Song, impreziosita dagli assoli di chitarra di Federico Poggipollini, richiama alla memoria i Midlake di Roscoe. Blue Boy appare invece come l’unico straniante esperimento elettronico, a dire il vero non particolarmente riuscito, dell’intero album, che si chiude con la sofferta Last Lost Song, unico brano eseguito dal solo Cocci a chitarra e voce.
Un disco sincero e onesto quello di Marco Cocci, che difficilmente stupirà chi è alla ricerca di sperimentazione compositiva ma che, frutto di un songwriting essenziale impreziosito da arrangiamenti e produzione molto ben curati, potrà certamente colpire ed accompagnare una grossa fetta di pubblico.
Classe ’82, batterista e smanettatore di synth, attratto da tutto ciò che è ricerca e scoperta, con una particolare propensione per la musica con contaminazioni elettriche ed elettroniche, le città e i festival europei.
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