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Migratory: il volo di Masayoshi Fujita

In questi ultimi anni, il percorso umano e artistico di Masayoshi Fujita ricorda la trama di un film di formazione. Dopo tredici anni trascorsi a Berlino, il compositore e produttore ritorna con la sua famiglia nel natio Giappone, coronando il suo sogno di poter creare musica immerso nella natura.

Prende casa su una collina a tre ore da Kyoto, trasforma un vecchio asilo in uno studio e dà libero sfogo alla sua concezione di ambient, fortemente influenzata dai suoi strumenti prediletti, il vibrafono, già presente nei suoi dischi precedenti, e la marimba, che in Bird Ambience (2021) abbiamo ascoltato in totale connubio con i sintetizzatori.

Migratory, in uscita il 6 settembre 2024 per Erased Tapes, è strettamente connesso a Bird Ambience  per una lunga serie di motivi. Innanzitutto, entrambi gli album sono figli del ritorno in Giappone; condividono l’impostazione musicale appena accennata, con vibrafono e marimba pronti a sposarsi con l’elettronica; hanno un concept comune, dato che il titolo è nuovamente ispirato agli uccelli, in questo caso quelli migratori che viaggiano fra il sud-est asiatico e l’Africa.

A prima vista, Migratory sembrerebbe quasi un album gemello del suo predecessore, ma fortunatamente non mancano diverse novità. Intendiamoci: l’impostazione sonora resta quella già nota, ossia da una parte la tradizione ambient giapponese, con i soliti nomi di Midori Takada, Satoshi Ashikawa e Hiroshi Yoshimura in testa, dall’altra la tradizione europea che ha inevitabilmente contaminato la proposta di Fujita. A spiccare, piuttosto, è un interessante parterre di collaboratori.

Se la doppietta iniziale Tower of Cloud / Pale Purple rispecchia fedelmente i canoni della new age, con il trascorrere dei minuti arrivano le prime sorprese: c’è il sax del padre di Masayoshi, Osamu Fujita, ad arricchire Blue Rock Thrush, un connubio fra jazz e ambient, mentre i versi di Moor Mother donano un’energia innata ad Our Mother’s Lights.

Non finiscono qua le sorprese: Mattias Hallsten e il suo sho, strumento a fiato giapponese composto da 17 canne di bambù, si sposano perfettamente con il sax di Fujita senior su In a Sunny Meadow, così come la vocalità stratificata di Hatis Noit mette la firma nel richiamo al chiaro di luna di Higurashi.

La capacità di Masayoshi Fujita di coordinare le varie parti in gioco è notevole, riuscendo a far emergere sempre la propria proposta pur contaminandola. Migratory non rivoluziona il sound del musicista giapponese, ma nasconde, dietro alla sua apparente freddezza, un’anima calda e vibrante.



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