Music For Detuned Pianos è senza dubbio uno degli album più interessanti di questo inizio 2020. Splendidamente sbagliato, stranamente familiare, fastidiosamente bello
Nobilitare le storture, valorizzare l’errore, creare bellezza dalla rottura. C’è un ché di filosofico nell’idea di fondo di Music For Detuned Pianos, l’ultimo affascinante lavoro del talentuoso musicista britannico Max de Wardener. Il suo intento è (dichiaratamente) quello di prendere la monumentale arte della composizione per pianoforte e piegarla, distorcerla fino a creare qualcosa di nuovo, familiare eppure alieno. Ne nascono dieci tracce misteriose e bellissime, disseminate di stonature dissonanze che spezzano le classiche atmosfere idilliache della musica acustica per pianoforte e guidano l’ascoltatore lungo il confine tra il reale e l’onirico.
All’inizio è difficile accorgersi che qualcosa è fuori posto. Il disco si apre con The Sky Has A Film, che in mancanza di una definizione migliore potrebbe essere descritta come musica dell’attesa. Per tutta la prima parte del brano c’è un ripetersi continuo di armonie su un sottofondo elettronico che crea un senso di anticipazione; è l’attimo subito dopo il lampo, mentre si aspetta il tuono, è l’apnea della tensione che si scioglie, verso il finire della traccia, in brevi respiri di sollievo. Come suggerisce il titolo, le pennellate di de Wardener sono ancora leggere; è più una patina, un alone che copre un cielo altrimenti normalissimo.
Le cose cominciano a farsi davvero strane quando si passa dal rosso al blu. Blueshift è infatti uno dei pezzi più interessanti di tutto l’album. La struttura melodica è quella di una classica ballata acustica per piano, ma è qui che de Wardener comincia a sbagliare volutamente una nota dopo l’altra. Rompe scale, stecca e genera una coltre di cacofonie ben studiate, sotto le quali è ancora possibile intravedere la melodia. Il cervello, a questo punto, va in tilt: de Wardener ci suggerisce (quel tanto che basta) la musica “giusta”, per poi eseguire magistralmente quella “sbagliata”, trasportandoci di colpo in un mondo visionario.
Color Cry è una sonata da togliere il fiato, degna colonna sonora di un delirio escheriano fatto di scale impossibili, chiaroscuri ipnotici e progressioni surreali. Star Song ci regala un attimo di serena lucidità, illudendoci per cinque minuti abbondanti di essere tornati su lidi più ordinari, ma è solo un altro gioco di prestigio. In coda al disco, ad attenderci, c’è Doppelgänger, la creatura più strana della famiglia: suggestioni degne del Dr. Caligari, evoluzioni e giravolte che mandano in trance e che, d’un tratto, si interrompono, con una chiusura secca come uno schiaffo. L’equivalente musicale di un brusco risveglio da un sonno profondo.
Music For Detuned Pianos è un’esperienza di ascolto al limite dello psichedelico. È come camminare in un sogno lucido: tutto sembra apparentemente normale, fatta eccezione per alcuni dettagli fuori posto, degli strani movimenti nella coda dell’occhio e una costante sensazione di inadeguatezza. Le luci dei lampioni non abbagliano, l’orologio segna ore diverse a distanza di poco tempo, ed eravamo certi, nonostante l’evidenza, di avere solo cinque dita per mano. Non secondo Max de Wardener, che con le sue dissonanze chirurgiche, le sue stonature deliberate e i suoi inserti artificiali riesce a creare un’atmosfera magnetica e disturbante allo stesso tempo.
La musica di de Wardener è una mosca bianca nel panorama acustico contemporaneo, una benvenuta ventata di freschezza nel mondo spesso ingessato dei compositori moderni. Music For Detuned Pianos è senza dubbio uno degli album più interessanti di questo inizio 2020. Splendidamente sbagliato, stranamente familiare, fastidiosamente bello. Come un incantevole quadro appeso al centro del salotto, con la cornice visibilmente storta.
Troppo scoordinato per essere un musicista, troppo stonato per cantare, troppo povero per fare il produttore, sin dalla tenera età si decide a stare dal lato più affollato dei concerti (con l’eccezione di quelli di Bruce Springsteen, dove contare i membri della band è un’impresa). Cresciuto a pane e blues (a volte solo il secondo), dimostra sin da subito una straordinaria abilità nel ricordare a memoria i testi delle canzoni, il che purtroppo non gli è stato di nessun aiuto durante gli anni della scuola. Laureatosi con disonore nel 2015 in Giurisprudenza, oggi è avvocato, progettista, grafico, artigiano del cuoio, il tutto disponendo comunque della classica dotazione di due arti per lato del corpo, una coppia di orecchie ed un’unica, del tutto ordinaria massa cerebrale.
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