I toni cupi dei Morose
Nove brani complessivi per una durata prossima ai cinquanta minuti di ascolto. Il nuovo album del progetto Morose (che ha per protagonisti Davide Landini e Pier Giorgio Storti, voce e chitarra classica il primo, chitarre tastiere, percussioni e voci il secondo) è stato scritto interamente dai due liguri.
Morose è, a tutti gli effetti, un progetto cantautorale all’interno del quale sembrano rivestire particolare rilievo le parole delle varie canzoni. Minimale quanto a contenuti musicali, quasi a voler lasciare tutto lo spazio possibile al significato delle parole, ci è piaciuto ascoltare tra i solchi il suono dell’organo Farfisa e del violoncello, circostanza, tra l’altro, che sembra far diventare ancora più inquietanti canzoni che già lo sono di per se.
Forse Greta È Partita Davvero, Sbagliare È La Cosa Più Giusta Da Fare, Emanuela Pedala Veloce e Ad Est Dell’Eden sono i titoli di alcune delle songs che fanno parte dell’album. Echi psichedelici si aggiungono a toni cupi e riflessivi e ad atmosfere musicali che sembrano rimandare a De Andrè e a Nick Cave, due tra i possibili ispiratori dei titolari di questo non comune progetto.
I Morose definiscono la loro musica evocativa, ieratica, ctonia e sostengono che il materiale è stato scritto confidando nella benevolenza della musa.
I testi, in effetti, appaiono interessanti e letterariamente validi e prendono spunto da umane vicende quotidiane: di amicizia-inimicizia, amore, (in)felicità e in relazione agli altri argomenti vengono presi in esame gli aspetti problematici che si sposano bene con l’andamento non proprio allegro della musica.
Il disco è interessante; il suo punto nevralgico sta nell’eccessiva omogeneità o, se si preferisce, nella scarsa variabilità della musica: le canzoni dell’album sono talmente cupe che anche dopo pochi ascolti potrebbero, a seconda di chi ascolta, risultare ostiche.
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