Migrazioni di uomini, animali, musiche e tradizioni nelle tre suite di Suite Dreams, ultimo lavoro della violoncellista Naomi Berrill
Etnie che si intrecciano in danze colorate, stormi di uccelli in cerca di climi favorevoli, musiche diverse che travalicano confini e si sovrappongono a creare dinamiche sonore stratificate. La tematica della migrazione è caro alla cantautrice irlandese Naomi Berrill, che ha deciso di declinarne le diverse sfumature in un variegato album dal titolo Suite Dreams. L’opera si struttura in tre diverse suite, ciascuna dedicata ad una variazione sul tema; ognuna di esse si articola in 5 brani accomunati da un certo stile musicale o da un leitmotiv predominante.
La prima delle tre suite nominata Silent Woods; in questa, la Berrill esplora il lento avvicendarsi della natura con sé stessa, il ciclo di morte e rinascita, le stagioni, gli spostamenti e la resilienza della terra. La Berrill si approccia al tema con grande rispetto, quasi in punta di piedi, come a non voler interferire con il lento evolversi degli elementi naturali da cui trae ispirazione. Alla Berrill piace creare ponti, legare posti e persone, temi ed idee usando come solo tramite la musica. Lei, che è originaria dell’Isola di Smerdalo, ha adottato Firenze come propria casa, tanto quanto quest’ultima ha adottato lei. Silent Woods è dedicata al Parco delle Cascine di Firenze, lo stesso luogo dove il grande poeta Percy Bysshe Shelley avrebbe composto, nel 1819, la sua famosa Ode al vento dell’Ovest. Sulle rive dell’Arno, a due secoli di distanza, l’arte si fa portavoce di una natura che asseconda il trascorrere del tempo, appassisce e si rinnova, cambia continuamente pur restando sempre e comunque una potente fonte di ispirazione.
La seconda suite, intitolata Dance Suite, contiene (come suggerisce il nome) i brani più movimentati del disco. Dance Suite è una celebrazione del folk nelle sue varie forme, da quella più pura a quella più duttile e propensa alle contaminazioni. Jig and Reel “Flowers for Ibana” è una delle trace più ispirate ed emotivamente coinvolgenti dell’intero album; al suono del violoncello magico della Berrill veniamo catapultati al centro di un prato, di quel verde impossibile ovunque tranne che in Irlanda, mentre un turbinio di vesti e colori accompagna una musica frenetica e intrisa di joie de vivre. C’è l’allegria e la rugiada fra i capelli, ci sono i sorrisi, la voglia di libertà e il fiato corto dal troppo ridere, o dal troppo pestare dei piedi. Interessanti anche le evoluzioni dell’arco, quasi ipnotiche, di Mermaid Dance o l’incursione nel jazz da night club di Swing Me “Round”, per quanto la gentilezza della voce della Berrill suoni vagamente fuori contesto in un pezzo così fumoso.
Chiude la triade una suite il cui titolo (Playground Suite) può essere presagio di facezia o di innocenza. In questa tranche del disco la Berrill sperimenta con tradizioni musicali diverse ed estrae da ciascuna di esse un elemento distintivo, incorniciando il tutto con la sua personalissima interpretazione. Dall’Ungheria all’Irlanda, dall’Italia al Belgio, dall’India alla Francia, ogni brano di Playground Suite aggiunge qualcosa al fiume del folklore, che non nasce da nessun monte preciso e non sfocia in nessuno specifico mare.
Al di là di una musica alle volte troppo discreta o di testi non sempre ispirati, Suite Dreams ha il pregio di creare ponti lunghissimi, di mettere in comunicazione tempi e luoghi distanti con una sincerità e una leggerezza disarmanti. Le doti canore, compositive e musicali della Berrill sono certamente pregevoli, soprattutto quando vengono usate per celebrare il fascino tradizioni così diverse, eppure così simili. La compositrice irlandese attinge dove può, pesca da patrimoni culturali variegati, assorbe e raffina, stendendo tutto al sole con uno stile tutto suo. Si sente la nostalgia della propria terra natia, ma anche la gratitudine della viaggiatrice accolta con affetto da paesi lontani, o la curiosità dell’esploratrice sempre proiettata in avanti.
Troppo scoordinato per essere un musicista, troppo stonato per cantare, troppo povero per fare il produttore, sin dalla tenera età si decide a stare dal lato più affollato dei concerti (con l’eccezione di quelli di Bruce Springsteen, dove contare i membri della band è un’impresa). Cresciuto a pane e blues (a volte solo il secondo), dimostra sin da subito una straordinaria abilità nel ricordare a memoria i testi delle canzoni, il che purtroppo non gli è stato di nessun aiuto durante gli anni della scuola. Laureatosi con disonore nel 2015 in Giurisprudenza, oggi è avvocato, progettista, grafico, artigiano del cuoio, il tutto disponendo comunque della classica dotazione di due arti per lato del corpo, una coppia di orecchie ed un’unica, del tutto ordinaria massa cerebrale.
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