Nàresh Ran scendere a patti con i propri demoni
Nàresh Ran, fondatore dell’etichetta underground Dio Drone, torna con il suo terzo album, Praesens. Dopo aver esplorato il suono ambientale, Ran ribalta il focus, proponendo un progetto più intimo realizzato con synth e voce, in cui indaga il mondo interiore, quello inaccessibile alla luce. Nàresh Ran si confronta con ricordi fragili e tormentati, che si manifestano come fantasmi inquieti, evocando un rito magico per liberarsi da una possessione dolorosa.
Secondo Albert Camus, «i ricordi sono un pesante fardello da portare, ma non si può smettere di portarlo». In che modo i ricordi hanno influenzato le tue decisioni nel presente? C’è un momento nella tua vita in cui hai deciso di trasformare un ricordo negativo in un’opportunità per un nuovo inizio, magari esorcizzandolo attraverso la musica?
Quando chiedevano a Tenco perchè scrivesse solo canzoni tristi lui rispondeva ‘..perchè quando sono allegro esco..’, allo stesso modo per me fare musica ha sempre rappresentato una sorta di esorcismo delle oscurità più pesanti del mio stato d’animo. Banalmente suonare mi ha sempre ridato l’equilibrio che il quotidiano mi strappava. Con i ricordi invece ho sempre un cattivo rapporto, forse proprio per questo era arrivato il momento di affrontarli con il solo linguaggio che conosco, e cioè con i miei strumenti. Se devo scegliere un momento preciso credo sia stato quando ho marchiato i sigilli sui palmi delle mani, che non a caso sono finiti sulla copertina di Praesens.
Come hai affrontato la registrazione di queste canzoni? Cosa ti ha ispirato a creare un lavoro così intimo e personale?
Il concept mi girava in testa da tempo, dai giorni passati nelle case abbandonate ad ascoltare i loro respiri. Quando la pandemia ci ha tolto la libertà a cui eravamo abituati ho iniziato le mie piccole incursioni urbex nei dintorni di Firenze, di nascosto e armato di registratore e cuffie. Mi sedevo per terra, accendevo il registratore e passavo ore semplicemente ad ascoltare i rumori intorno a me, anche quelli più impercettibili. In quel momento avevo un profondo bisogno di mettermi in secondo piano senza parlare o proferire suoni, forse cercavo ispirazioni diverse o forse mi sentivo solo. Poi improvvisamente qualcosa è cambiato, e i rumori che percepivo in questi luoghi hanno iniziato a sembrarmi prima respiri e poi parole sussurrate, come se le pareti avessero preso coscienza della mia presenza e mi raccontassero le loro storie all’infinito. E questa idea dei ricordi impressi nei luoghi come dei loop intrappolati è diventata un pensiero fisso per lungo tempo, e mi ha fatto tornare sugli strumenti a caccia di suoni che rendessero l’idea di queste immagini. Ho rigirato tra le mani queste tracce per circa un anno, provandole dal vivo fin dalla loro versione più embrionale. Le ho ascoltate crescere nella mia mente e sugli strumenti in modo estremamente spontaneo e naturale, come non mi era mai successo, e ho affrontato le registrazioni in modo molto sicuro, probabilmente per la prima volta in tutto il mio percorso. E’ stato come raccontare una storia. La più personale che ho.
Il viaggio interiore può essere complesso e pieno di insidie. Qual è stata la tua esperienza più significativa durante la creazione di Praesens, in termini di scoperta personale?
Avevo appena iniziato a scrivere il disco quando ho tatuato i sigilli sulle mani. Personalmente do un peso molto serio ad ogni goccia di inchiostro che porto sulla pelle, ma in questo caso c’era qualcosa di più. Sia io che Alberto Brunello – amico, musicista, tatuatore e sciamano metropolitano – volevamo che fosse un vero rito di passaggio. Il sigillo, nella storia dei simboli, serve a rinchiudere qualcosa da proteggere oppure perchè non possa più ferirti, e nel mio caso rappresentava una presa di coscienza intima e importante che volevo imprimere nel punto del corpo che più associo al fare e alla creatività. Sono le mie stigmate, che mi ricordano però ogni giorno che sono ancora vivo e lucido, e che anche i percorsi più insidiosi possono essere superati.
Come si è evoluto il tuo setup? Cosa porti con te durante i concerti del tour di Praesens?
Per raccontare questa storia ho sentito un estremo bisogno di semplicità. Praesens è registrato esclusivamente con stratificazioni di synth, la mia voce e suoni d’ambiente, e ci tenevo che anche dal vivo suonasse potente come su disco nonostante il suo setup minimale. Nella mia valigia ho il mio fedele Blofeld, che filtro in una piccola catena di pedali, un microfono e il mixer con cui spingo sulle frequenze più basse. Il volume, che cerco di tenere piuttosto sostenuto, è parte integrante del concerto. Mi piace pensare che il live debba essere un’esperienza fisica oltre che emotiva.
Pensi di essere arrivato con Praesens al ‘’disco della maturità’’?
Non ho questa pretesa, ma so per certo che al momento di incidere questo disco avevo in mente un’idea molto chiara del sound di ogni singola traccia. Gli altri dischi sono stati spinti più dalla mia voglia di sperimentare delle idee, mentre in questo caso c’era più una vera necessità di buttar fuori queste storie e di raccontarle in un modo estremamente preciso. Praesens è indubbiamente il lavoro di cui mi sento più sicuro.
Quali film, libri o artisti hanno influenzato il tuo processo di scrittura di Praesens?
C’è sempre un mix di influenze in quello che faccio, che di norma derivano più dal cinema che da altra musica, ma non posso non citare You Must Have Been Dreaming di Puce Mary e No Highs di Tim Hecker, che negli ultimi due anni hanno dominato senza tregua i miei ascolti. L’immaginario del disco però è stato più influenzato dallo spiritualismo di fine 800, e dalla sua estetica così elegante e sinistra al contempo, che perfettamente sembrava adattarsi al concept dell’album.
In Praesens II – Memento Vivi, esponi il tema della solitudine. Come pensi che la musica possa aiutare le persone a connettersi con le loro emozioni e sentirsi meno sole ?
In Memento Vivi c’è in realtà un estremo bisogno di pace spezzato dalla presenza costante di voci che non ti abbandonano mai. Ma allo stesso tempo anche questa può essere vista come una forma più malata e distorta del senso di solitudine. La musica non mi ha mai davvero aiutato a contrastare uno stato d’animo negativo, semmai mi ha accompagnato per tutto il tempo necessario finché non sono riuscito a superarlo. In questo senso credo che l’arte in generale sia estremamente utile, sttandoci vicino quanto serve perchè si ritrovino le forze per affrontare ciò che ci ferisce. I dischi mi hanno parlato fin da piccolo, anche quando non capivo il loro linguaggio. Ma mi hanno fatto compagnia in tutti quegli anni tra infanzia e adolescenza in cui non conoscevo il mio posto nel mondo e mi sentivo abbandonato sul pianeta sbagliato. La musica mi ha dato quel posto che non percepivo, mi ha regalato un senso e mi ha fatto scoprire che esisteva una tribù con i miei stessi colori di guerra.
Se potessi scegliere una frase o un concetto che riassuma il messaggio di Praesens, quale sarebbe e perchè ?
‘I ricordi infestano le persone come gli spettri possiedono le case’, è la frase riportata all’interno della copertina e che credo dia la giusta chiave di lettura al mood del disco.
Seguendo l’evoluzione creativa che hai intrapreso con Praesens, quali direzioni musicali o tematiche ti piacerebbe esplorare nel tuo prossimo lavoro?
Anche se ho chiuso il disco la scorsa estate mi ci sento ancora immerso come se stessi attraversando a nuoto un profondo oceano, e credo che la sensazione continuerà ad essere questa fino alla fine delle date di questo tour intermittente.
Leggi la recensione dell’album Praesens QUI
Nato a Caserta nel 1989, innamorato folle della musica, dell’arte e del basket. Nel lontano 2003 viene letteralmente travolto dal suo primo concerto, quello dei Subsonica, che da quel giorno gli aprirono un mondo nuovo e un nuovo modo di concepire la musica.
Cresciuto col punk e la drum and bass, ama in maniera smoderata l’elettronica, il rock e il cantautorato. Fortemente attratto dal post-rock, dalla musica sperimentale e da quella neoclassica, non si preclude all’ascolto di altri generi definendosi un onnivoro musicale.