Un concentrato di folk, alt-country e roots-rock
Registrato a Landers, California, a due passi dai paesaggi aspri e desertici del Joshua tree National Park, paesaggi dei quali si innamorarono gli U2 che li impressero nel loro album capolavoro, oggi trentenne, The Joshua tree, God Won’t Save You, But I Will è l’ultimo album dell’eccentrico musicista statunitense Nicholas Merz, in uscita il 9 ottobre per Aagoo records.
Il disco esce dopo l’esordio da solista del 2018 con The limits of men e la precedente militanza nei Darto, Seattle-based band che ha all’attivo due Lp (Frontier, 2015 e Human giving, 2017) e un Ep (Fundamental Slime, 2018).
Il disco, registrato interamente dal vivo, è un concentrato di folk, alt-country e roots-rock ed evidenzia l’estro di Merz, il quale pur muovendosi su territori già ampiamente sondati da molti prima di lui, riesce ad essere convincente ed autentico. Per quanto riguarda il capitolo influenze, la prima associazione, per caratteristiche delle voce ma non solo, è al prematuramente scomparso David Berman ultima versione, quello dei Purple Mountains per intenderci, ma non mancano passaggi che ricordano Wilco e The Handsome Family.
Dio non ti salverà’ ma io sì, questa è la promessa di Nicholas Merz, contenuta nel titolo dell’album. Certamente per fare un’affermazione del genere il musicista originario di Seattle avrà avuto le sue buone ragioni.
Il disco si apre con la cavalcata roots-rock di Drifting palomino, brano del quale è stato girato un bellissimo quanto surreale videoclip. Il video è ambientato in un sorta di night club dove si sta esibendo un musicista cowboy (Merz), che viene preso poco sul serio dal pubblico. Gli spettatori, infatti, lo avvicinano sul palco in modo inappropriato dapprima tagliandogli i baffi, poi strattonandolo e infine rubandogli degli scatti, ma nonostante ciò il cowboy continua a suonare e ad immaginare di vestire i panni di un cavallo che scorrazza in libertà (un richiamo alla serie tv Bojack Horseman?). Come un “palomino” alla deriva, così anche Merz, per sua stessa ammissione nel ritornello della canzone (I’m falling through the air), sta cadendo in un vortice di negatività. La via d’uscita è rappresentata dal potere salvifico della musica che da all’autore e al protagonista della clip la forza di reagire. La seconda traccia, Midnight movement, è una ballad notturna dai toni soffusi, lenta e carezzevole mentre The Forty si risolve in un intenso crescendo ritmico.God’s death è una canzone molto dolce, a tratti spirituale, che strizza l’occhiolino Ryan Adams e ringrazia Simon and Garfunkel. In Petaluma drive, invece, questo “celestial feeling” scompare e le sonorità si fanno più cupe e ansiogene lasciando spazio alle considerazioni di Merz che ripete nevroticamente “what I need is life, what I need is time”. La traccia che chiude il disco è Blush, una composizione dal sapore malinconico dove ancora una volta è la voce di Merz a catalizzare l’attenzione.
God Won’t Save You, But I Will è un disco gradevole e ben costruito, breve ma intenso che vale la pena approfondire.
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