River Path di Olivia Belli è una collezione di istantanee dedicate alla natura, all’infanzia, ai percorsi interiori e al flusso della memoria
Tra le compositrici nostrane più interessanti degli ultimi anni, Olivia Belli vanta una lunghissima tradizione di dita sui tasti del pianoforte. Sin da bambina, la Belli ha capito che la parola non è l’unico modo di comunicare, e a giudicare dai recenti exploit discografici deve aver speso del tempo a perfezionare l’arte della narrazione in musica. River Path è solo l’ultimo di una notevole serie di opere in la Belli riesce, con destrezza e raffinatezza compositiva, ad evocare momenti semplici ed emozioni complesse, raccontare istanti memorabili o giorni interi. L’ispirazione per River Path è (dichiaratamente) la natura, più precisamente i paesaggi e le ambientazioni che hanno segnato l’infanzia dell’artista.
I brani sono molto brevi, quasi delle istantanee pensate per catturare momenti molto specifici. Sono tracce passeggere come i ricordi a cui sono evidentemente legate. La natura che rinasce sulla soglia della primavera, il lento risvegliarsi di piante, insetti, animali; Beside the Spring è il canto sussurrato di chi si scrolla di dosso la malinconia di una stagione fredda, pronto ad aprire le braccia ad una nuova ispirazione. Se messo a paragone con molti dei brani che seguono, la opening track risulta più limpida, trasparente, come il vetro di una finestra da cui guardare un mondo che esce dal torpore.
C’è un che di mistico nei pezzi che seguono: The Faun’s Dream è suonata con dolcezza, quasi in punta di piedi, come se una nota di troppo o un movimento superfluo potessero spezzare la magia di un sogno appena iniziato, fatto di luci che si spostano agli angoli del campo visivo. Da qui si intravede un sentiero che conduce nei meandri di un bosco fitto, metafora di una bussola interiore che fatica a trovare il percorso giusto.
I timori e le speranze si accompagnano a momenti di risolutezza e di assoluta chiarezza; in River Path il parallelismo costante tra la contemplazione della natura e l’esplorazione dei sentieri della mente permette a Olivia Belli di imbrigliare istanti di grande bellezza, in cui il reale e l’immaginato convivono come in una fiaba. Sprite’s Breeze e The Nymph’s Gaze sono perfetti esempi di come la Belli riesca ad aumentare il contrasto, sfocare i confini tra il concreto e l’etereo con melodie tanto semplici quanto ipnotiche.
Facendo il pari con le tracce di apertura, la coppia che chiude l’album segna l’uscita dal reame dell’onirico. Silent Dusk suona quasi come una pausa di riflessione, un momento speso a ripercorrere a ritroso le strade intraprese. Certi delicati crescendo che sembrano quasi punti di domanda stimolano la memoria in modi difficili da descrivere.
Estuary si occupa infine di chiudere il cerchio, forma geometrica ideale per descrivere la traccia del fiume immaginato (o ricordato) dalla Belli; dalla sorgente al mare, il River Path ci offre solo l’illusione dell’inizio e della fine, e se magari ascoltiamo con attenzione ci rendiamo conto di quanto siano ciclici i nostri percorsi, di quanto il primo brano e il dodicesimo siano solo due variazioni sul medesimo tema. Per ogni morte, una rinascita.
Troppo scoordinato per essere un musicista, troppo stonato per cantare, troppo povero per fare il produttore, sin dalla tenera età si decide a stare dal lato più affollato dei concerti (con l’eccezione di quelli di Bruce Springsteen, dove contare i membri della band è un’impresa). Cresciuto a pane e blues (a volte solo il secondo), dimostra sin da subito una straordinaria abilità nel ricordare a memoria i testi delle canzoni, il che purtroppo non gli è stato di nessun aiuto durante gli anni della scuola. Laureatosi con disonore nel 2015 in Giurisprudenza, oggi è avvocato, progettista, grafico, artigiano del cuoio, il tutto disponendo comunque della classica dotazione di due arti per lato del corpo, una coppia di orecchie ed un’unica, del tutto ordinaria massa cerebrale.
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