Il post-rock dei pugliesi Petricor per l’etichetta statunitense Fluttery Records
First Breath è l’album d’esordio dei pugliesi Petricor, una delle migliori realtà del post-rock tricolore, in uscita il 28 giugno 2019 per la label statunitense Fluttery Records, label statunitense specializzata in produzioni ambient, post-rock e modern classical, fondata a San Francisco nel 2008.
Il post-rock dei Petricor si colloca sulla scia dei capisaldi quali Sigur Rós, God Is An Astronaut, Mogwai ed Explosions In The Sky.
Sono gli stessi Petricor ad introdurre l’album d’esordio così:
Con questo disco quasi interamente strumentale, abbiamo voluto lasciare ampio spazio alla dimensione sensoriale ed emozionale dell’uomo. Vogliamo che chi lo ascolta, dia una personale ed intima interpretazione ad ogni brano. Ed è esattamente con questo criterio che abbiamo composto l’album, partendo dal nostro stato d’animo ed emozione […]
Il titolo del disco, first breath, non è altro che un richiamo alla sfera sensoriale dell’olfatto, così come evidenziato dall’immagine di copertina, che rimanda anche al significato del nome della band, dove il petricor è l’odore della pioggia a contatto con la terra.
Mi appropinquo all’ascolto con vivo interesse, date le premesse ed i riferimenti. La prima traccia, 8, mi traghetta in punta di piedi verso un arpeggio silente ma espressivo, con dei bassi in sottofondo e dei rimandi elettronici. Imponente la costruzione del beat, messo a tacere da un rullante stoppato. La medesima traccia, in versione remix, concluderà l’album in maniera ciclica.
People è una traccia da assaporare con tutti i sensi possibili: si percepiscono i rumori del mare, della folla, di piccoli oggetti che cadono, mentre la batteria gioca appassionatamente con le bacchette. Niente male anche il duo basso chitarra, complici e solidali, dove arriva una, segue l’altro, in un combinato disposto da texture paradigmatica.
Il post-rock rientra plasticamente in ogni rivolo di quest’album, in espressioni ora classiche ora rinnovate, tra interpretazioni personalissime e rimandi sognanti.
La traccia omonima, collocata a metà del disco, è notevolmente riflessiva: si inserisce una voce narrante scura e con tratti di graffiato.
Unbroken Horses è sul serio esplicativa, i tratti di velocità di chitarra e batteria quasi dipingono una corsa all’impazzata di cavalli, costretti a farmarsi sul sentiero solo dopo un po’ di tempo.
Seppur tanto strumentale, è un disco che si fa comprendere come se parlasse, una caratterizzazione non banale, nemmeno semplice.
Sapete che cos’è la Saudade? Probabilmente è quel che vuole esprimere la traccia. Tale è il sentimento che, in portoghese brasiliano, indica una forma di malinconia, un sentimento affine alla nostalgia. Nonostante tale ‘premessa’ il pezzo è sostanzialmente elevato e disposto ben oltre, quasi a determinare un senso di riscatto, e di portarsi alle spalle tutto ciò che spezza il cuore.
Classe 93, laureata in giurisprudenza, specializzata in criminologia. Praticante avvocato, scrivo di politica e di diritto su diverse testate. Sono campana ma mi sono trasferita a Padova.
Sono appassionata di musica, suono il piano ed in passato ho suonato malissimo una sgangherata Soundstation mancina.
I miei generi preferiti sono il rock alternative, lo stoner e la musica classica. Sono stata una metallara nell’adolescenza, divorando con disinvoltura i dischi degli Slayer.
Il mio compositore preferito è Prokofiev ma se la gioca con Shostakovich. Amo Elliot Smith ed ascolto con “diligenza da scolara” cose che non conosco. Normalmente sono una tipa che si appassiona con facilità.
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