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Surrealismo e catarsi nell’improvvisazione elettroacustica di Ahinsa

Nello sterminato mondo dell’elettroacustica, campo prediletto per gli amanti della sperimentazione, avvengono costantemente collaborazioni e contaminazioni. Ahinsa, in uscita il 14 giugno 2024 per Dissipatio, è una delle più recenti e interessanti.

Da una parte c’è una coppia ormai ben collaudata e affiatata, Giacomo Salis e Paolo Sanna, entrambi alle percussioni, dall’altra c’è il polacco Piotr Dabrowski. Il risultato è una lunga suite, per l’appunto Ahinsa, divisa in due lunghi movimenti, ognuno dei quali caratterizzato dalle più disparate influenze.

Il duo Salis/Sanna compie un vero e proprio giro del mondo, suonando percussioni da ogni parte del globo: c’è il caxixì, idiofono a percussione di origine africana ma molto utilizzato nella tradizione brasiliana della capoeira, ci sono sonagli, campane e percussioni africane, ma anche la più disparata oggettistica. Ad accompagnare questo set arrivano sia frequenze radiofoniche che, soprattutto, l’interpretazione di Dabrowski, che presta la voce utilizzandola come un vero e proprio strumento.

Se la press release cita le astrazioni di Captain Beefheart, basta ascoltare i primi cinque minuti della prima parte di Ahinsa per cercare di tracciare qualche coordinata in un universo non catalogabile: Salis e Sanna improvvisano creando un flusso continuo, alternando percussioni e oggetti, rumori che si incastrano come tessere di un mosaico, mentre Dabrowski offre un’interpretazione che, pur guardando Beefheart solo da lontano, ricrea effettivamente quell’atmosfera surreale ed istrionica propria del Capitano.

L’inizio del secondo atto è sotto questo punto di vista programmatico: l’apertura è affidata a un Dabrowski sospirante e ancor più astratto, mentre l’entrata in scena delle percussioni appare graduale e cadenzata, come se per la prima volta dall’inizio dell’ascolto Salis e Sanna interrompessero momentaneamente il flusso prima citato.

Ahinsa è una performance elettroacustica che ben rispecchia i canoni di un “genere non genere”, in cui è l’improvvisazione a prendere il sopravvento. Un esperimento ostico e difficile da comprendere in tutte le sue sfaccettature, ma che sicuramente non lascia con l’amaro in bocca gli amanti di sonorità sperimentali.



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