Terrain: tradizione e modernità secondo i Portico Quartet
Fra i nomi di spicco della scena nu jazz degli ultimi quindici anni è impossibile non citare i londinesi Portico Quartet: dopo la fama acquisita con Isla (2009), i Nostri hanno continuato ad offrire un’efficace unione fra nu jazz e downtempo, fino alle incursioni nel post-minimalismo dell’ultimo Memory Streams (2019).
A distanza di due anni ad influenzare il gruppo sono minimalismo ed ambient, com’è evidente dall’ascolto di Terrain, in uscita il 28 maggio 2021 per Gondwana Records. L’album è composto da una lunga suite divisa in tre atti, legati da motivi ritmici ricorrenti e dalla costante sensazione di voler raggiungere una meta musicale comune.
Il sassofonista Jack Wyllie ha esplicitamente citato Midori Takada tra le sue principali fonti d’ispirazione ed il primo atto, Terrain: I, ne è la prova concreta: un’atmosfera ipnotica e spirituale prende immediatamente la scena, ricreando lontane sonorità orientali grazie al sapiente uso di piatti e sintetizzatori. Il sassofono arricchisce notevolmente il brano, sia quando svetta sugli altri strumenti tracciando eleganti coordinate jazz, sia quando si accoda alle sonorità sognanti onnipresenti durante l’intero atto.
Terrain: II si presenta sin dalle prime battute come un pezzo più dinamico rispetto al precedente ma non lascia da parte il persistente clima etereo, evidenziato da un continuo refrain, ed ampliato durante il brano prima dal sax, in una veste meno soft rispetto al primo atto, e poi dagli archi. Ed è proprio il ruolo di questi ultimi ad essere fra gli elementi più interessanti dell’album, complice la capacità da parte del gruppo di non renderli mai invadenti, ma cadenzandone l’utilizzo in funzione d’accompagnamento.
L’ultima parte, Terrain: III, è probabilmente il brano più meditativo dei tre e l’ambiente di sacralità ricreato è fra i momenti più interessanti dell’intero album, grazie a delle percussioni sapientemente legate ad archi e sintetizzatori.
Terrain è una suite a metà fra tradizione e modernità, in cui tutte le influenze musicali dei Portico Quartet prendono prepotentemente la scena, pur senza rimanere ancorate al passato ma rivisitate verso il presente dai londinesi.
A livello puramente innovativo, dunque, l’album non può essere considerato fra i più originali del gruppo, ma rimane una prova interessante con diversi spunti notevoli e va dato merito ai Portico Quartet per non scadere mai nel futile omaggio.
Classe ’99, laureato in Lettere moderne e alla magistrale di Filologia moderna alla Federico II di Napoli.
La musica e il cinema le passioni di una vita, dalla nascita interista per passione e sofferenza.
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