Rancore racconta il suo centro (a)sociale in un centro sociale.
La parola Rancore scomposta in cubi come in un abaco, proprio come la copertina dell’album, è parte della scenografia del rapper Rancore, aka Tarek Iurcich, from Rome, non propriamente da un quartiere d’elite, ma dal quartiere Tufello.
Le luci diventano fioche, il fumo comincia a fuoriuscire, mentre led fosforescenti creano giochi di luci con le ombre. Quando Rancore fa capolino sul palco, col suo solito cappuccio alzato, il pubblico sbanda, applaude, in attesa che si alzi la musica. Anche l’artista resta sorpreso, più volte nel live specificherà che non si sarebbe aspettato che l’album potesse esser compreso da un pubblico così ampio. Eh sì, perché Musica per Bambini, pubblicato il 1° giugno 2018 per Hermetic (la sua etichetta discografica) con distribuzione Artist First, è un album non propriamente da distribuzioni di massa: vi è al suo interno una dimensione privata ed individuale, a volte cinica e piuttosto introspettiva, e Rancore non mancherà nel ricordare quanto sia stato disastroso il contesto in cui è nato il disco.
Il live parte subito con l’acceleratore e si entra con tutti e due i piedi nel nuovo album: si rincorrono brani che faranno alzare velocemente l’asticella con quelle più lente, melodiche, molto più intime. Giocattoli scorre nostalgicamente traghettato dal suo arpeggio di pianoforte, fino ad arrivare al mangiaflow di Beep beep, in cui voracemente Rancore colleziona parole su parole, mentre i componenti dell’Orquestra gli porgono ciclicamente una mascherina nebulizzatrice.
Oltre alle tracce dell’ultimo album, non potevano mancare nel live quelle più riconosciute targate Dj Myke, dal rincorrere il sole con S.U.N.S.H.I.N.E. fino all’oscurità con D.A.R.K.N.E.S.S. mentre la logorroicità di Rancore irrompe in ogni break fra i pezzi. Con ridondanza ripete asmaticamente parole, come quella di Scrivere, scrivere, scrivere, nel mentre racconta come nasce un pezzo, mentre si cerca di fuoriuscire da un labirinto composto di carta.
Dalla tendenza più noir e molto dark-electro, a quella rap più underground, mentre si attraversano beat e bassi incessanti, il live viene condotto da maestro da Rancore, che tiene il palco egregiamente con spasmodica volontà e serietà. Dopo una breve pausa il concerto riprende, mentre l’orquestra fa divenire melodia il coro topos degli epiloghi concertistici “Se non metti l’ultima, noi non ce ne andiamo”. Ed ecco qui, Skatepark e Depressissimo, tra superlativi terribili in sound e melodiche in minori.
Narrare se stessi è di per sé complicato, specie se dinanzi un cospicuo pubblico, eppure Tarek pone di lato il personale facendolo divenire collettivo, mentre tutti ascoltano attenti o ripetono frasi dei pezzi, in una sorta di esperimento fenomenologico. Questo è quanto dovrebbe provenire dalla forza pregnante di un concerto.
Classe 93, laureata in giurisprudenza, specializzata in criminologia. Praticante avvocato, scrivo di politica e di diritto su diverse testate. Sono campana ma mi sono trasferita a Padova.
Sono appassionata di musica, suono il piano ed in passato ho suonato malissimo una sgangherata Soundstation mancina.
I miei generi preferiti sono il rock alternative, lo stoner e la musica classica. Sono stata una metallara nell’adolescenza, divorando con disinvoltura i dischi degli Slayer.
Il mio compositore preferito è Prokofiev ma se la gioca con Shostakovich. Amo Elliot Smith ed ascolto con “diligenza da scolara” cose che non conosco. Normalmente sono una tipa che si appassiona con facilità.
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