Spirit: un piano con piedi elettronici
Una bellissima schiena nuda che riemerge dalle acque. Lei è Geneviève e la foto è stata scattata da Michael Milosh. La copertina di Spirit riesce a fotografare l’intimità e la ritualità, di cui si riempie l’ultimo lavoro del progetto R&B noto come Rhye, dell’artista canadese Milosh.
Rhye, dopo Blood del 2018, continua nella sua esplorazione degli spazi di una sorta di pop-soul da camera.
Si dice che il progetto sia nato da una pratica mattutina: cimentarsi ogni giorno su un vecchio pianoforte a coda, avrebbe ispirato Milosh ad attingere alla musica classica, attraverso l’obiettivo di un R&B alternativo. Così, il risultato è quello di otto tracce organicamente orientate al piano, appoggiate a fondamenta elettroniche, capaci di creare passaggi meditativi e aprire un ventaglio di sfumature di sospirante romanticismo. Sono brani leggeri che si lasciano ascoltare facilmente; un piccolo album che si presta con efficacia ad un ascolto veloce, quasi fosse di passaggio.
Tante le collaborazioni presenti, da Thomas Bartlett aka Doveman, a Dan Wilson (Semisonic) fino Ólafur Arnalds; e ad essere onesti sono proprio i brani frutto di questi incontri (nell’ordine Needed, Save Me e Patience) ad essere i più emotivi e strutturati.
Il sipario viene aperto da Dark, facendo presagire uno scenario prettamente classico; Needed è più spiccatamente orchestrale, a tratti ossessivo, in cui Rhye riesce a nascondere il suo ascendente libertino attraverso soluzioni classiche. E se Save Me fonde silenziosamente ed abilmente il piano con il falsetto di Milosh, raccontando una confidenziale richiesta al partner di essere salvati da sé stessi in Patience tocca al musicista islandese Ólafur Arnalds cospargere di immensi spazi eterei e misticismo gli spartiti.
Arrangiamenti meditativi e impostazione ambient per un disco che non è narrazione di cosa si ama, ma di cosa si ha bisogno per sentirsi amati, un’estrema e perenne esigenza di essere cercati e voluti.
Il reclamo più ordinario di sempre.
Nata ad Aversa, da qualche anno a Bologna; belli portici, il melting pot culturale, i tortellini, i concerti, ma l’umidità resta un problema serio. Osservo il mondo immaginandovi una colonna sonora e se c’è del romanticismo alla Serendipity, questa sarà sicuramente Mind Games. La prima cosa che mi interessa dei concerti sono le luci, le luci e la gente. Sogno che un giorno si ritenga importante una rubrica del tipo “La gente che va ai concerti”. Alle feste mi approprio con prepotenza, del ruolo di dj, e adoro quando arriva il momento dei Bee Gees. Faccio classifiche per ogni aspetto dello scibile umano, playlist per ogni momento topico della vita. Canzone d’amore più bella di sempre Something (ma penso di essermi innamorata con Postcards from Italy), per piangere Babe I’m gonna leave you, colazione con Mac de Marco, quando fuori è freddo i Fleet Foxes, ma se c’è divano e film, è subito Billy Joel. Riflessioni esistenziali con Bob Dylan e Coltrane, mi incanto col manuche, shampoo con Beyoncè, terno al lotto con i Beach Boys, libiiiidine con Marvin Gaye. Stupore e meraviglia con The Rain Song, Nina Simone se necessito di autostima, forza e coraggio, sogno infinito con Sidney Bechet.
Potrei continuare, ma non mi sembra il caso. Si accettano suggerimenti e elargiscono consigli.
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