Comunicare attraverso i suoni per i Riah
Nati nel 2015, i post-rockers bolognesi Riah hanno debuttato con l’album Autumnalia, pubblicato il 26 novembre 2018 da Fluttery Records. A distanza di qualche mese la band ha deciso di pubblicare una ri-edizione in vinile, uscita in Italia il 31 maggio e il 20 giugno in Germania, curata da Moment Of Collapse Records, Shove Records e Drown Within Records.
Chi sono i Riah e da dove nasce il vostro nome.
Flavio: i Riah sono una band strumentale di Bologna nata nel 2015. La band, oltre ad accrescere la formazione fino a stabilizzarsi con un organico composto da batteria, basso e tre chitarre(!), dall’anno di fondazione fino a oggi ha perseguito senza sosta una ricerca sonora e musicale per fare di quello che comunemente viene chiamato post rock un veicolo di espressione personale. Il nome della band rispecchia questo intento, infatti non ha significato, è puro suono, così come la musica strumentale manca di testo, ossia di significato esplicito, ma senza rinunciare a comunicare qualcosa che attraverso il suono può essere accolto da ogni sensibilità senza una necessaria chiave di interpretazione univoca, ma estremamente personale e variabile nella ricezione.
Come mai avete optato per una ri-edizione del disco di debutto in vinile?
Diego: In Europa il disco non ha avuto una distribuzione e alcune label tra Italia e Germania si sono interessate ad Autumnalia. Personalmente trovo un onore avere il nostro debutto prodotto da etichette dove in catalogo trovi band italiane come Storm{o} o band straniere come Cranial e Suffocate for fuck sake, che se non conoscete consiglio subito di reperire.
Come è nato Autumnalia e perché questo titolo
Flavio: l titolo dell’ album unisce in una parola l’autunno e la festività (in “alia” terminavano le feste religiose romane). L’autunno si riferisce metaforicamente ad una precisa vena del sentire il mondo: malinconica ed estatica allo stesso tempo, con condensazioni di tensione, ansia e rabbia. Il titolo dell’album tenta di esprimere quasi ermeticamente ciò che, dal fondo, alimenta la nostra musica: il sentimento di amara contemplazione che caratterizza il nostro contraddittorio tempo.
Il vostro è un sound cupo e ruvido, come mai questa scelta di non avere sprazzi di luce nella vostra musica?
Diego: Mah tendenzialmente siamo presi male dalla vita. Questo è quanto! Abbiamo l’abitudine di mettere in musica le nostre inquietudini credo si senta piuttosto bene. In realtà uno sprazzo di speranza è presente nella coda di Luce (non è un caso che abbia questo nome) dove un mio riff di basso fatto per gioco con mio figlio mentre suonava la batteria è diventato qualcosa di più grazie ad una intuizione di Enrico Baraldi. Nel suo studio di registrazione lo abbiamo reiterato ed è diventato un momento di sospensione ambient tra le tracce del disco. Inutile dire che siamo rimasti felici dalla resa finale del brano.
Ascoltando le cinque tracce dell’Lp si riconoscono sonorità proprie del post rock, math rock e metal. Quali sono i gruppi che vi hanno influenzato in fase di composizione.
Flavio: Slint, *shels, Godspeed, Latitudes, ma anche Lento, Isis e i primi Mogwai (ma non oltre il 2008) Siamo onnivori in materia di influenze, ad esempio il black metal per il batterista, ma non possiamo escludere un background grunge e molte influenze, magari più sotterranee che evidenti, dai Radiohead, dai Gorillaz e dal post rock dei Tortoise: è il concetto che ci importa, ossia una particolare concezione del fare musica, è un atteggiamento o una mentalità che non considera la musica qualcosa di canonico e codificato, ma un canale di espressione alimentato dal bagaglio emozionale di ognuno dei componenti della formazione.
Nella vostra formazione è entrata in pianta stabile la visual artist Francesca Bonci. Quanto conta per voi associare la musica alle immagini?
Flavio: Accostare un compendio visivo alla nostra musica si è rivelato fin da subito una possibile amplificazione delle sensazioni emotive che cerchiamo di trasmettere acriticamente. Francesca ha il grande pregio dell’ intuito musicale e la capacità di tradurre in immagine e colore quelle che sono le atmosfere del soudscape. Inoltre il fatto che prediliga per i suoi lavori una forte base di astrattismo, in cui il colore e non la figuralità fa da padrone, rende il risultato finale ancora più organico e simbiotico con la musica strumentale a cui si accompagna.
E quanto conta invece l’immagine di un musicista oggi?
Diego: Bella domanda. Mi piacerebbe dire nulla ma mi rendo conto che non è così. Oramai se non mostri determinate caratteristiche piuttosto omologate rischi di non essere preso in considerazione. Dal canto nostro cerchiamo di mantenere il tutto piuttosto lontano da noi. Direi che la musica è la cosa più importante.
Qual è il formato migliore per ascoltare musica e perché secondo voi sta continuando a prosperare il mercato del vinile.
Diego: Il vinile rimane il formato più “caldo” soprattutto per certe sonorità. Siamo davvero soddisfatti dal lavoro fatto in sede di mastering da Magnus Linberg crediamo che abbia davvero valorizzato il feeling analogico del disco. Come se non bastasse il discorso prettamente audio, avere tra le mani un oggetto come il vinile ha un che di vintage che personalmente adoro. Se ti piace un disco è normale pensare di avere qualcosa di materiale da poter toccare e apprezzare magari per l’artwork o altro, credo sia per questo che il formato vinile goda così di buona salute.
Leggi la recensione dell’album Autumnalia QUI
Nato a Caserta nel 1989, innamorato folle della musica, dell’arte e del basket. Nel lontano 2003 viene letteralmente travolto dal suo primo concerto, quello dei Subsonica, che da quel giorno gli aprirono un mondo nuovo e un nuovo modo di concepire la musica.
Cresciuto col punk e la drum and bass, ama in maniera smoderata l’elettronica, il rock e il cantautorato. Fortemente attratto dal post-rock, dalla musica sperimentale e da quella neoclassica, non si preclude all’ascolto di altri generi definendosi un onnivoro musicale.
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