Satoyama al Parco della Montagnola di Bologna: il manifesto ecologista.
Appuntamento al Montagnola Republic, festival organizzato da Arci Bologna in collaborazione con Binario 69, per Satoyama, il quartetto nu jazz di Ivrea, che costruisce veri e propri paesaggi sonori.
La mission è nel nome, “villaggio di montagna” un luogo in cui natura e uomo convivono pacificamente e in pieno equilibrio.
E non c’è luogo migliore del Parco della Montagnola per raccontare questa storia: un posto controverso, un po’ odiato, molto amato, ma che sa accogliere chi ha la pazienza di lasciarsi abbracciare dai suoi angoli di paradiso che si celano al di là degli enormi lampioni dell’800. Un luogo che sfugge ad una categorizzazione precisa proprio come i Satoyama, con il loro sound complesso e complessivo, in cui ricorrono armoniosamente influenze post rock, classiche, indie e più spiccatamente jazz.
Luca Benedetto alla tromba, Marco Bellafiore al contrabbasso, Christian Russano alla chitarra e Gabriele Luttino alla batteria, regalano il live di Magic Forest, loro ultimo lavoro uscito nel 2019 per Auand Records.
L’apertura è affidata ad una sorta di grido d’aiuto di un enorme Plastic Whale, mentre la successiva One Part Per Million lascia ai nostri 4 i loro spazi, annodando fili che si intrecciano in trame di grande effetto. Leave è un lento e progressivo catalizzatore, se l’inizio tra chitarra e tromba è un melanconico incontro, i ritmi poi diventano più incalzanti, la batteria non cede il passo e la Terra che vediamo in slow motion dall’oblo della navicella spaziale si fa sempre più vivida e reale.
Solenni valzer tra tutte le specie viventi in Sovation, e favole nordiche in Winter Rise, dove il primo pettirosso annuncia i mesi più freddi. Sono queste le suggestioni descritte nel disco, da Lucia Panzieri che con brevi racconti accompagna ogni brano. E noi non possiamo essere che d’accordo, perché qui chi suona è la natura, con le sue carezze e suoi segnali che dovrebbero indurre a squarciare il velo del “non importa, abbiamo problemi maggiori”, come declinato in Dry Land, un vero manifesto ecologista.
Quello che i Satoyama portano sul palco è un lavoro poliedrico, ragionato, coerente. È musica che si presta ad essere espressa in più modi e in più mondi; è musica con un intento politico e sociale non di poco conto.
L’encore è affidato a Magic Forest, il rapporto tra batteria e tromba è un climax ascendente, tipico del lieto fine, quello del dai, non è ancora tutto perduto.
“Per millenni, ogni giorno il villaggio ha amato i suoi alberi; le strade si intrecciano con il passaggio degli uomini, si parlano si richiamano. Questo piccolo miracolo risuona di vita, Satoyama, una foresta che cresce.”
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Nata ad Aversa, da qualche anno a Bologna; belli portici, il melting pot culturale, i tortellini, i concerti, ma l’umidità resta un problema serio. Osservo il mondo immaginandovi una colonna sonora e se c’è del romanticismo alla Serendipity, questa sarà sicuramente Mind Games. La prima cosa che mi interessa dei concerti sono le luci, le luci e la gente. Sogno che un giorno si ritenga importante una rubrica del tipo “La gente che va ai concerti”. Alle feste mi approprio con prepotenza, del ruolo di dj, e adoro quando arriva il momento dei Bee Gees. Faccio classifiche per ogni aspetto dello scibile umano, playlist per ogni momento topico della vita. Canzone d’amore più bella di sempre Something (ma penso di essermi innamorata con Postcards from Italy), per piangere Babe I’m gonna leave you, colazione con Mac de Marco, quando fuori è freddo i Fleet Foxes, ma se c’è divano e film, è subito Billy Joel. Riflessioni esistenziali con Bob Dylan e Coltrane, mi incanto col manuche, shampoo con Beyoncè, terno al lotto con i Beach Boys, libiiiidine con Marvin Gaye. Stupore e meraviglia con The Rain Song, Nina Simone se necessito di autostima, forza e coraggio, sogno infinito con Sidney Bechet.
Potrei continuare, ma non mi sembra il caso. Si accettano suggerimenti e elargiscono consigli.
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