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Sens Dep: deprivazione sensoriale nel futuro

Un disco dall’oltre futuro: suoni di grosse macchine metalliche, tentativi di connessioni sonore attraverso melodie timide e stentate. Un ascolto difficile, un po’ claustrofobico ma altrettanto catartico, da fruire sapendo che i Sens Dep (Sensory Deprivation) hanno uno stretto legame con la performance.

La band di Melbourne ha pubblicato Lush Desolation il 30 novembre 2020, un disco autoprodotto che dura oltre un’ora, “un delicato equilibrio” fra noise, ambient e shoegaze; un album che si potrebbe apprezzare al meglio in abbinamento a perfomance o a lavori visuali; potrebbe essere la perfetta colonna sonora per un nuovo “2001, Odissea nello spazio”.

Sens Dep nasce nel 2009 ad opera di Andrew e Ben Yardley, come progetto collaterale della band post-rock di Melbourne Laura. Il loro album di debutto, Lush Desolation,  richiede all’ascoltatore di entrare in contatto con un livello superiore della musica, quello che non ha il suo fulcro sulla melodia, ma che si percepisce fisicamente oltre l’udito e che lascia dentro una sensazione strozzata e poco serena.

Il noise caratterizza ogni brano e spesso si trasforma in note sinfoniche di organo, a costruire quasi impercettibili melodie di sottofondo, inafferrabili come la sensazione della mano marmorea della copertina privata delle dita: brevi fraseggi dai suoni allungati, in bilico sugli stridori delle chitarre elettriche . Un synth sacro e pieno di riverbero apre il disco, creando un’atmosfera magnetica ed inquieta, poco rassicurante, rotta dal distorsore che ferisce la timida melodia. Questo suono di metallo ritorna in ogni pezzo, reso in molte modalità, come il rumore di un sommergibile scricchiolante per il peso dell’oceano o come lo stridere di metallo su metallo. Il disco è stato registrato in quattro anni, sfruttando sia i suoni della natura selvaggia della Tasmania, che quelli chiusi di una capanna in lamiera di un cacciatore di montagna. L’album “seziona poeticamente la relazione fra gli umani e l’ambiente e il modo in cui la loro relazione dinamica cambia”, spesso oltre la cognizione logica e razionale: “it’s a challenging and trasformative album, intimate and epic”.

Certamente non è un disco per chi cerca la melodia, nonostante i titoli dei lunghi brani possano suggerire un racconto, che potrebbe essere dispiegato attraverso altri strumenti artistici. Un disco che va pensato come il lavoro di un’umanità che ancora ha da venire.




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