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Átta, il ritorno dei Sigur Rós

 

“C’è un rumore che è diverso dal dolore. L’afflizione geme, lancia un suono verso il cielo come un bambino che invoca la madre. Quel tipo di lamento contiene una speranza. Ma esiste un suono diverso. I neonati lasciati soli per troppo tempo non piangono nemmeno. Diventano molto tranquilli e silenziosi. Sanno che non arriverà nessuno”

(da “Ragazze Elettriche” di Naomi Alderman)

 

È passato un decennio dall’uscita di Kveikur, l’ultimo album dei Sigur Rós, nel frattempo molte cose sono cambiate per la formazione islandese. I nostri non sono rimasti di certo con le mani in mano realizzando colonne sonore, album dal vivo ed Ep mentre è ritornato il polistrumentista Kjartan Sveinsson e Jónsi ha continuato la sua carriera da solista.

Átta arriva a sorpresa senza far troppo rumore e lo fa come un fulmine a ciel sereno. L’ottavo album del trio oscilla tra sperimentazione, audaci melodie e ritmi lenti. Un sound contemporaneamente intimo e pesante, con le parti di batteria sostituite da fluidi movimenti orchestrali.

L’album nasce dalla volontà della band di catturare un senso di speranza soppresso dal malessere pervasivo degli ultimi anni, dall’intenzione di spostare l’attenzione dal mondo esterno alla resilienza interiore.

Il brano di apertura, Glóð, è caratterizzato da un suono celestiale astratto, quasi ambient, costruito attorno alla sezione d’archi. Una cascata di melodie guidate da una voce angelica che s’inserisce tra gli strati di archi e sintetizzatori come un bagliore di luce nell’oscurità.

Il singolo Blóðberg, realizzato con la London Contemporary Orchestra, è un flusso impetuoso e trionfante; malinconico e rilassante. Un suono lungo, privo di contrappunti dati dalla mancanza della batteria, alla quale si sostituisce la voce di Jónsi utilizzata come a voler mettere degli accenti sui momenti più intimi.

A seguire Skel è un ottovolante di emozioni e dinamiche: la voce e gli archi si fondono creando un’aggraziata atmosfera neoclassica, con il basso e le tastiere pronti a supportare la struttura del brano. L’unico punto debole sta nella mancanza della ritmica che avrebbe supportato e spinto il brano nei momenti più esplosivi mentre essendone priva, la traccia tende ad implodere.

Con Klettur l’intensità aumenta ancora. I tamburi supportano gli arrangiamenti quasi industriali dell’orchestra con la voce che s’incastra in una rete di suoni avvolgenti, con gli strumenti elettronici e quelli acustici che si fondono così bene fino a diventare un unico imponente suono.

Ylur è stata modellata dai suoni levigati degli archi e l’elettronica oscura, un gioco di contrasti con la voce che fa da collante tra i due mondi. Ne viene fuori un brano elegante che rasenta la perfezione.

Grazie alle profonde aperture sinfoniche e ad una intensità senza eguali, Átta si avvicina di più ad Ágætis byrjun piuttosto che a Valtari e Kveikur. Con questo nuovo album, i Sigur Rós riprendono da dove ci avevano lasciato, con nuova musica carica di speranza, da ascoltare come un’unica lunga strumentale



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