Stefano Pilia presenta al Raum il suo In Girum Imus Nocte Et Consumimur Igni
È un viaggio soprannaturale quello offerto tra le enormi pareti bianche del Raum, lo spazio dell’organizzazione culturale bolognese Xing, e il buio in cui annegano i fortunati spettatori seduti a terra, lascia che la potenza immaginifica e ancestrale della chitarra faccia il resto.
In Girum Imus Nocte Et Consumimur Igni, pubblicato lo scorso anno per l’etichetta milenese Die Schachtel, è l’ultimo lavoro del chitarrista Stefano Pilia, genovese di stazza a Bologna, e come il famoso palindromo che si attribuisce a Virgilio, le 6 tracce che compongono il lavoro di Pilia sono esattamente simmetriche.
Giriamo in tondo nella notte e veniamo consumati dal fuoco; così quasi scientificamente in una matrice di 16 accordi, si viene al mondo, anzi si cade nel mondo, come viandanti nella notte ci si consuma, per poi giungere alla Salita.
Il curriculum lo si conosce, è di prestigio (Massimo volume, Afterhours, Zu, Rokia Traorè), ma la ricerca, la capacità di dar vita ad un poema allegorico con una chitarra e la forza evocativa di questo lavoro non hanno bisogno di appoggiarsi ad altri nomi e lavori.
In questa sequenza armonica palindroma, le 6 tracce plasmate da chitarra e manipolazioni sonore sono l’una lo specchio dell’altra; è un trittico che ritrova i suoi elementi e chiude sapientemente il cerchio. Così alla Caduta iniziale c’è poi una Salita che chiude con l’archetto sulle corde che dà vita come a canti di balene. Sirena e Melusina sono il nostro inconscio, sirene ammaliatrici che smarriscono i viandanti in un percorso quasi esoterico che in Et Consumimur Igni, specchio di In Girum Imus Nocte, trova forse un nuovo significato con i campionamenti di parti vocali di Palestrina.
Il tutto ci si presenta come qualcosa di plastico, c’è materia in quelle note, quelle variazioni si riescono persino a toccare. E qui è la bellezza di quanto ascoltato. La bravura di Pilia sta nel regalare al suono proprietà fisiche, che instaurano autonomamente una relazione con gli spazi e con il tempo. La musica, le variazioni sono più potenti e ingombranti di qualsiasi immagine. Non si ha bisogno di altro; lo spettatore incontra la musica, la musica pervade lo spettatore. In Girum Imus Nocte Et Consumimur Igni è una profonda catarsi multisensoriale in percorso drammaturgico; una caldamente consigliata performance musicale di uno dei migliori chitarristi del panorama italiano in circolazione.
Nata ad Aversa, da qualche anno a Bologna; belli portici, il melting pot culturale, i tortellini, i concerti, ma l’umidità resta un problema serio. Osservo il mondo immaginandovi una colonna sonora e se c’è del romanticismo alla Serendipity, questa sarà sicuramente Mind Games. La prima cosa che mi interessa dei concerti sono le luci, le luci e la gente. Sogno che un giorno si ritenga importante una rubrica del tipo “La gente che va ai concerti”. Alle feste mi approprio con prepotenza, del ruolo di dj, e adoro quando arriva il momento dei Bee Gees. Faccio classifiche per ogni aspetto dello scibile umano, playlist per ogni momento topico della vita. Canzone d’amore più bella di sempre Something (ma penso di essermi innamorata con Postcards from Italy), per piangere Babe I’m gonna leave you, colazione con Mac de Marco, quando fuori è freddo i Fleet Foxes, ma se c’è divano e film, è subito Billy Joel. Riflessioni esistenziali con Bob Dylan e Coltrane, mi incanto col manuche, shampoo con Beyoncè, terno al lotto con i Beach Boys, libiiiidine con Marvin Gaye. Stupore e meraviglia con The Rain Song, Nina Simone se necessito di autostima, forza e coraggio, sogno infinito con Sidney Bechet.
Potrei continuare, ma non mi sembra il caso. Si accettano suggerimenti e elargiscono consigli.
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