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Il ritorno dei Suez

Il fondo del barile

Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, diceva qualcuno. E quando si parla di amore, per gli amanti del genere, spesso si parla in musica e di musica. È questa la storia dei Suez, band cesenate che, in attività da circa vent’anni, ritorna ad amarsi dopo otto anni dal loro terzo album. The Bones of the Earth è il quarto lavoro in studio del quartetto romagnolo, in uscita il 16 aprile 2021 per Cagnìn Records.

I Suez, raccontano, di aver cercato per tanto tempo  di scavare a fondo per raggiungere le ossa della terra e cercare di riemergere. È una bella fatica e varrebbe la pena ascoltare la loro rinascita anche solo per questo. Se si aggiunge, poi, la curiosità legata al ritrovamento anche del sound che, comunque, li ha sempre contraddistinti, allora non si esita più nemmeno per un secondo.

La vena alternative rock è di base, dalla prima alla nona traccia, legata a retoriche post-punk e new wave in quello che gli stessi Suez hanno definito come post-umanesimo testuale che dichiaratamente espone le grida, la sofferenza. Il disco è stato ispirato da immagini, a partire dalla foto in copertina di Marcella Magalotti, scattata ad Aversa durante un progetto sull’iter dei migranti, dallo sbarco ai centri di accoglienza, in cui si sovrappongono paura e tentato sollievo.

Anche We Are Universe, singolo che ha anticipato l’album, è legato ad un’immagine, quella di un uomo siriano che bacia i suoi figli ritrovati in un campo di rifugiati attraverso il filo spinato. Così come Hit The Man e Kobane che, ancora una volta, ricordano storie di fughe, di estremo terrore, di realtà profondamente ferite dall’orrore dell’umanità.

La capacità di far vivere le immagini attraverso i testi, i ritmi incalzanti, i suoni profondi e la voce logora e cupa è innata per un gruppo come i Suez che, non senza difficoltà, sono riemersi e hanno deciso di mostrare il fondo del barile, l’immenso groviglio di grottesca disumanità di cui questo mondo si rende sempre colpevole.




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