Javelin: l’arte di scrivere canzoni
Per la qualità della sua discografia e la capacità di attirare verso la sua musica non solo pochi addetti ai lavori ma anche una buona fetta di pubblico generalista, Sufjan Stevens è il cantautore più importante del nuovo millennio e di conseguenza non ha certo bisogno di presentazioni.
Può però essere utile riavvolgere il nastro fino al 2020 e ripercorrere brevemente parte della sua carriera recente, sia per le novità introdotte rispetto ai suoi lavori precedenti sia perché è necessario farlo per capire al meglio il nuovo Javelin, in uscita il 6 ottobre 2023 per Asthmatic Kitty.
Nell’anno della pandemia esce The Ascension, l’album più sottovalutato e sorprendente del musicista del Michigan: distanziandosi sia dal pop sofisticato dei celebri Illinois (2005) e The Age of Adz (2010) sia dal folk che gli ha aperto le porte del successo di Carrie & Lowell (2015), The Ascension ha messo in luce la vena elettronica di Sufjan Stevens, presente da sempre nel suo repertorio ma mai in modo così netto ed evidente. Un album, insomma, che ha preannunciato le successive sperimentazioni in chiave ambient della pentalogia Meditations, Lamentations, Revelations, Celebrations, Incantations, tutti usciti nel 2021 e focalizzati su una ricerca verso suoni elettronici completamente diversi da quelli a cui eravamo abituati. Infine, nel 2022, il ritorno alla dimensione folk in coppia con Angelo De Augustine in A Beginner’s Mind.
Alla luce di quanto scritto, è facilmente intuibile dove va a parare Javelin: è un disco indie folk, ma non aspettatevi una copia di Carrie & Lowell; c’è qualcosa di pop, ma lasciate da parte i suoi dischi di quindici anni fa; c’è l’elettronica, ma sotterranea, sfugge e accompagna le parole.
C’è, insomma, il Sufjan Stevens più recente, volenteroso di evolvere e cambiare la propria musica senza stravolgerla, ma ci sono anche alcune delle canzoni più belle del suo repertorio e la concorrenza non è poca. Se i synth dell’opening track Goodbye Evergreen lasciano abbastanza sorpresi se non perplessi e di conseguenza A Running Start sembra essere il vero intro nel mood dell’album, è con la struggente Will Anybody Ever Love Me? che arriva il primo lampo di genio: un testo semplice ed esistenziale, in pieno stile Sufjan, si lascia elevare da cori delicati e da una staffetta chitarra acustica/synth che coprono rispettivamente la prima e la seconda parte del brano.
Ritroviamo la dimensione sacrale in Everything That Rises, fra le vette del disco, in cui è ancora la fusione tra coralità, che per l’occasione assume addirittura un carattere gospel, sonorità acustiche ed elettroniche a prendere il sopravvento in un brano che mette per l’ennesima volta in evidenza l’importanza della religione nel canzoniere di Stevens: “Jesus lift me up to a higher plane, can you come around before I go insane?”.
My Red Little Fox richiama alla memoria la lucciola e la colomba di Fourth of July (‘my firefly’, ‘my little dove’), ma se quest’ultimo era un dialogo con la madre in punto di morte e il dolore espresso si traduceva nell’iconica ripetizione a fine brano della frase “we’re all gonna die”, adesso, a distanza di quasi dieci anni dal quel brano, a restare è una vena malinconica evocata dai cori che raccontano una storia d’amore: “Kiss me with the fire of the gods / My love, my queen, my spoken dreams / Come save me / Kiss me like the wind / Now I sing it won’t you”.
Gli archi e il pianoforte contribuiscono al racconto di una relazione terminata riletta nella lucidità di uno sguardo a posteriori nel climax di So You Are Tired, mentre la breve title-track è un frammento di folk dall’innata delicatezza. Shit Talk, con Bryce Dessner dei The National alla chitarra, è certamente il brano più ambizioso del disco, otto minuti abbondanti di pura classe che sembrano preparare il terreno per There’s a World, cover di Neil Young piazzata in chiusura.
Non sappiamo quando e se verrà presentato dal vivo Javelin: infatti, è di circa un mese fa la notizia della diagnosi della sindrome di Guillain-Barrè, che terrà Sufjan Stevens impegnato in un percorso di riabilitazione per almeno un anno. Nella speranza che tutto vada per il meglio, quello che abbiamo oggi è l’ennesimo disco centrato e riuscito di un musicista che difficilmente sbaglia un colpo; eppure, ciò che colpisce particolarmente in Javelin è la capacità di innovarsi e cambiare senza perdere di vista cosa conta davvero: scrivere canzoni.
Classe ’99, laureato in Lettere moderne e alla magistrale di Filologia moderna alla Federico II di Napoli.
La musica e il cinema le passioni di una vita, dalla nascita interista per passione e sofferenza.
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