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The Ascension: la catarsi raccontata da Sufjan Stevens

Nel 2015, quando Carrie & Lowell era già stato, meritatamente, riconosciuto a livello universale come un capolavoro, nacque di pari passo l’attesa per ciò che sarebbe arrivato dopo. Un’aspettativa apparentemente come tante, ma unica nel suo caso. Perché Sufjan Stevens, con buona pace dei suoi detrattori, è il più grande cantautore del nuovo millennio, e dopo aver riscritto le coordinate del cantautorato pop con Ilinois (2005), è stato in grado di rifarlo, dieci anni dopo, con il cantautorato folk di Carrie & Lowell.

Non che ci siano dubbi sulle capacità di riconferma dell’artista statunitense, ed infatti la sua discografia parla per lui. E proprio perché non ha bisogno di presentazioni, né di dimostrare qualcosa, si intensifica ulteriormente la domanda “e adesso? Che si inventa?”.

Nel 2015, quando qualcuno, spinto dalla curiosità, aveva iniziato a porsi questi dubbi, forse non si sarebbe mai aspettato una risposta come The Ascension, in uscita il 25 settembre 2020 per Asthmatic Kitty.

Un’ora e venti minuti di musica che ne fanno (di poco) il disco più lungo dell’intera produzione di Stevens, una catarsi dal sapore art pop tanto personale quanto artistica. Sta tutta qui la chiave di lettura di un album che non fatica nemmeno a nascondere, sin dal titolo, l’ascensione, l’innalzamento, l’elevazione.

Che sia nella pomposità glitch dell’apripista Make Me an Offer I Cannot Refuse o nella trascinante eleganza dal gusto art pop di Run Away With Me, Sufjan Stevens riesce a conquistare e, soprattutto, ammaliare l’ascoltatore dopo pochi minuti, trascinandolo nel suo mondo fatto di immagini eteree, soffuse, a tratti rarefatte.

Il singolo Video Game è il pezzo synthpop per eccellenza, così come la delicatezza magniloquente di Tell Me You Love Me è fra i momenti migliori dell’intero album. E ancora: l’elettronica di Ativan cambia completamente l’atmosfera dell’album passando dalla malinconia a trame futuristiche in salsa dance, mentre Landslide rappresenta il giusto compromesso fra le due anime mostrate nei brani precedenti.

L’indietronica gioca un ruolo di primo piano e riporta subito alla mente The Age of Adz (2010), così come la glitch music si lega sapientemente tanto all’ambient pop (Gilgamesh), quanto al gusto progressive di Sugar.

In chiusura, si potrebbe parlare di un mondo prima e dopo America, atto finale dell’album: un brano eclettico e in continuo divenire, che prosegue il proprio percorso su atmosfere introspettive e sognanti e ci mette poco a rivelarsi la punta dell’ascensione, ormai definitivamente compiuta.

Qualche pezzo di troppo, soprattutto nella seconda parte, impedisce a The Ascension di collocarsi fra i capolavori di Stevens, ma il risultato finale è di livello assoluto. Dopo Carrie & Lowell, il ritorno al pop segna una ricerca a 360 gradi in tutte le sfaccettature del genere, riuscendo ad imprimere un’identità forte e precisa a quasi tutti i brani.

Sufjan Stevens dà vita all’ennesima gemma della sua discografia, ed anche questa volta riesce a trasmettere nella sua musica una carica emotiva unica, perfettamente legata al concept che sta alla base di The Ascension.

La catarsi ha raggiunto il suo obiettivo, e non possiamo che ringraziare.




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