The Healer: evoluzione e distruzione secondo i Sumac
Nella press release si legge che The Healer, il nuovo album dei Sumac in uscita il 21 giugno 2024 per Thrill Jockey, è stato composto come un’indagine sull’evoluzione e la successiva distruzione, come se i concetti di “espansione, contrazione, corruzione e ricrescita” fossero una sorta di ciclo vitale alternativo.
In realtà, chi conosce bene il trio sa che tali principi sono stati sviscerati, anche se in modo meno esplicito, già nei dischi precedenti: gli ottimi What One Becomes (2016) e Love In Shadow (2018), la collaborazione con Keiji Haino nel 2018, persino il più recente e meno ispirato May You Be Held (2020), tutti lavori che hanno mostrato quanto dietro all’etichetta ‘atmospheric sludge metal’ si celi la volontà di andare oltre e contaminarsi con sonorità non classificabili (e in quest’ottica l’incontro con uno sperimentatore come Haino è paradigmatica).
Eppure, non è del tutto errato definire The Healer come il disco che più di tutti riesce a descrivere musicalmente i concetti che da sempre permeano il sound abrasivo e stratificato dei Sumac. La formula, apparentemente, è la stessa: quattro lunghi brani per un’ora e un quarto di violenza sonora, articolata in lunghi passaggi sludge, echi degli eterni Neurosis, riferimenti all’avanguardia metal, libera improvvisazione e drone metal di memoria Boris che si uniscono in un viaggio claustrofobico.
Ma in questo caso la sensazione è che il trio abbia voluto spingere ulteriormente il piede sull’acceleratore, pur calcolando il rischio di schiantarsi. I quasi trenta minuti dell’opener World of Light racchiudono bene quanto scritto finora: sfuriate post-metal procedono con una lentezza agonizzante mentre tutt’attorno si orchestrano riff granitici, la sezione ritmica opprime e, nonostante tutto ciò, si respira ugualmente la sensazione di una struttura sonora invidiabile, come un caos calcolato nel minimo dettaglio.
Yellow Dawn rischiara leggermente l’atmosfera, evitando l’approccio claustrofobico del pezzo precedente in favore di un legame fra avant-garde metal e psichedelia che ricorda da vicino i colleghi Oranssi Pazuzu, mentre New Rites sembra riuscire a mettere insieme le varie influenze del disco. In chiusura, The Stone’s Turn è il monolite gemello di World of Light, riuscendo a declinare in chiave progressive death l’oscura marcia dell’opener.
Un passo in avanti rispetto a May You Be Held, The Healer non è il miglior disco dei Sumac, ma è sicuramente quello costruito meglio, con un concept che respira e si evidenzia in ognuno dei quattro brani. Pur sacrificando parzialmente il loro lato più istintivo, The Healer è la conferma che il trio non solo sa ciò che vuole, ma riesce anche a comunicarlo benissimo.
Classe ’99, laureato in Lettere moderne e alla magistrale di Filologia moderna alla Federico II di Napoli.
La musica e il cinema le passioni di una vita, dalla nascita interista per passione e sofferenza.
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